La Dottoressa Mary Simmering elaborò il trauma della violenza sessuale subita nel 1987 scrivendo una poesia il cui titolo non ha bisogno di spiegazioni: – What were you wearing? -, letteralmente: com’eri vestita?
Attraverso il lavoro delle dottoresse Wyant – Hiebert e Brockman, psicoterapeute, dalla vicenda della Dottoressa Simmering e dalla sua poesia è nata un’installazione fotografica che, dopo la prima esposizione negli Stati Uniti nel 2014, ha iniziato a girare fino ad arrivare in Italia grazie all’associazione “Libere Sinergie”. Dal Kansas, la storia di Mary con la sua appendice fotografica ne ha fatta di strada dunque, fino ad arrivare al Liceo “Evangelista Torricelli” di Roma, dove la Professoressa Roberta Palomba e le classi 4’ E e 4’ F hanno raccolto il testimone allestendo la mostra con il supporto dei volontari di “Amnesty International” e della cooperativa “Be Free”, con lo scopo di sensibilizzare i ragazzi, le famiglie e il pubblico della mostra stessa sul tema del “victim blaming” ossia la colpevolizzazione della vittima, in nome e per conto di migliaia di donne dalle vite andate in frantumi anche a causa dell’odiosa domanda: tu com’eri vestita?
Nella mostra – denuncia si vedono fedeli riproduzioni degli abiti indossati da alcune vittime di violenza negli Stati Uniti e attraverso un QR Code si potranno ascoltare le loro storie.
Ne abbiamo parlato con Annalisa ed Emanuele, due degli studenti che hanno collaborato alla realizzazione della mostra. Lei non pensa che tutti gli uomini debbano vergognarsi; lui non crede di doversi vergognare a nome di qualcun altro; entrambi hanno riflettuto in maniera matura e non scontata sulla questione.
Annalisa ci dice – Dopo la vicenda di Giulia questa Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne da una parte mi sembra diventata inutile, dall’altra ancora più utile; ho soltanto diciassette anni, ancora non so molte cose della vita, però anche attraverso vicende apparentemente irrilevanti mi è capitato di venire a contatto con la prevaricazione maschile, come quando sere fa ero con alcune amiche a un tavolino all’aperto a Campo De’ Fiori e alcuni camerieri di un locale vicino hanno cominciato a scherzare con noi senza capire che a un certo punto ci stavano infastidendo e nemmeno avevano intenzione di fermarsi; ancora oggi capita di sentire da uomini grandi, a volte anche di età matura, commenti grevi o addirittura fischi all’indirizzo di ragazze come me o poco più grandi. Lo trovo avvilente… –
Emanuele invece stigmatizza il comportamento che vede esibire da alcuni coetanei: sento ragazzi come me fare commenti sulle ragazze come fossero oggetti o, ancora peggio, dire che ci sono compiti e lavori da donna e compiti e lavori da uomo…un certo retaggio non è stato eliminato. Non del tutto. –
La storia di Giulia Cecchettin che riflessioni ti ha fatto fare, Annalisa?
– Sono ancora più consapevole del fatto che la vita reale ci possa far incontrare degli insospettabili; ma ho riflettuto anche su una questione sulla quale non avevo aperto bene gli occhi: esistono ancora delle “ragazze maschiliste”, se mi passi il termine; ragazze che scambiano le prime avvisaglie di possessività da parte dei fidanzati per lusinghiere attenzioni; che non capiscono che un divieto ad andare in discoteca con le amiche non dovrebbe farle sentire “importanti” ma è una ingiusta limitazione. C’è poi ancora il fascino del ragazzo “tossico”, non in senso di dipendenze varie ma inteso come quello che con la fama del maledetto risulta più affascinante del ragazzo gentile e rispettoso, salvo poi scoprire che riversa su di te le sue fragilità e i suoi “demoni”. –
Emanuele, la comunità di studenti del “Torricelli” come ha recepito questa mostra?
– Sicuramente la soglia di attenzione è stata e continua a essere elevata; forse mentre le ragazze hanno mostrato subito una grande attenzione, tra i ragazzi c’è stato un atteggiamento più variegato, una soglia d’interesse variabile, ma anche una quota consistente di miei coetanei e amici che ha premesso: non mi riguarda perché io non sono così. Questo fa molto riflettere, anche. –
Annalisa, confermi?
– Confermo, alcuni maschi mi sono sembrati più “lontani” dall’argomento, magari quelli che hanno la fidanzata si sono sentiti più coinvolti. –
Nel frattempo, ragazzi, quanto maschilismo percepite ancora attorno a voi, anche senza arrivare a parlare di violenze o prevaricazioni? Comincia Annalisa.
– Le cose continuano a migliorare, a livello di sensibilizzazione, va detto, però in molti ambiti c’è voluto molto tempo; ti faccio un esempio: io gioco a basket a livello agonistico e ho dovuto girare molte società prima di trovare quella giusta, perché in molti casi c’era un settore femminile poco o nulla sviluppato e puntavano tutto sui maschi. Ho reso l’idea ? –
Hai reso. Emanuele, che ci dici?
– Dico anche io, che con lo sport non l’ho vissuto perché a tennis ho avuto un’istruttrice, che il maschilismo non è debellato: questa mostra, attraverso le immagini di questi vestiti, vestiti in molti casi normalissimi e per nulla provocanti, deve servire a far capire che se anche per dei piccoli particolari quotidiani la tratti come un oggetto in tuo possesso, non la fai sentire speciale: le togli la felicità. –
Annalisa, a te la chiosa.
– Dopo la storia di Giulia Cecchettin la nostra paura è aumentata, mi sento di parlar a nome di tutte le ragazze, potrebbe capitare a ognuna di noi e allora gli uomini di tutte le età è giusto che sappiano che la nostra paura è aumentata. Abbiamo sempre più paura di fidarci… –
Paolo Marcacci