Leggo che alcuni docenti di alcune università italiane vorrebbero interrompere immediatamente ogni relazione accademica con le università israeliane. Si tratta naturalmente di un gesto di protesta contro le politiche imperialistiche di Israele e cercherò subito di chiarire per quali ragioni non sono d’accordo con questa forma della protesta. Preciso subito che, come non mi stanco di ripetere da tempo, sono il primo a condannare l’imperialismo di Israele e le malefatte imperdonabili che sta commettendo a documento della popolazione di Gaza. Popolazione di Gaza che viene trattata senza diritti, come se fosse una massa di indesiderati a cui si può fare letteralmente di tutto. Non mi stanco altresì di ripetere che Gaza figura oggi come una prigione a cielo aperto, con una popolazione che viene trattata alla stregua di una massa di terroristi a cui si può fare letteralmente tutto.
E nulla cambia se si tratti di donne, bambini o anziani. Solo per dire che la nostra vicinanza al popolo palestinese è totale, come peraltro totale è la nostra condanna dell’imperialismo esecrabile d’Israele. Ciò detto, proverò celermente a chiarire perché non condivido la scelta dei docenti che vorrebbero interrompere immediatamente ogni relazione accademica con le università israeliane. Le università e la cultura sono infatti luogo di scambio e di relazione di idee, in quanto tali sono vettori privilegiati di rapporti pacifici e tesi a creare il dialogo. Pertanto l’idea di un embargo accademico, come anche potremmo appellarlo, mi pare del tutto controproducente rispetto alla pur condivisibilissima protesta generale contro le politiche imperialistiche d’Israele. Giusto e sacrosanto dunque prendere posizione contro l’imperialismo d’Israele, ma colpire le università mi pare il modo peggiore sotto ogni profilo per manifestare il proprio dissenso rispetto a quelle politiche. Bisognerebbe, al contrario, potenziare i rapporti tra le università del mondo, anche con quelle di Israele, nella speranza di sostituire alle ragioni delle armi, le armi della ragione e del dialogo.
Voglio a questo riguardo fare menzione di una riflessione di un grande filosofo della modernità, Fichte, che nel 1800 diede alle stampe un importantissimo saggio intitolato “Lo Stato commerciale chiuso”, che in qualche modo precorreva con grande spirito di lungimiranza i drammi dell’odierna globalizzazione. Fichte, che contestava senza mezzi termini la raison liberale e proponeva una sorta di socialismo comunitario e democratico, si spinge a dire che occorre chiudere gli Stati al commercio internazionale, producendo una sorta di autarchia democratica all’interno di ciascuno Stato. Non è questa la sede per discutere se quella proposta fosse buona oppure no. Mi preme invece sottolineare come Fichte riconoscesse un unico ambito in cui bisognasse tenere aperti i confini e mantenere vive le relazioni aperte, senza confini, su scala globale. Quell’ambito era quello della cultura e della circolazione delle idee. In quell’ambito, diceva Fichte, deve valere la libera circolazione delle idee, lo scambio culturale, il rapporto tra i popoli. Ecco, credo che queste considerazioni di Fichte aiutino a capire la mia posizione e le ragioni per cui oggi abbiamo bisogno certamente di contestare l’imperialismo di Israele, senza però porre muri alle idee e allo scambio interculturale.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro