Il tragico caso di Giulia Cecchettin ha scatenato un’ondata di femminismo e di conseguenti manifestazioni.
Una di queste ha colpito però la sede di Libero. Nel mezzo di un corteo contro la violenza di genere, i manifestanti si sono rivoltati ai piedi della sede del quotidiano, a Milano. Lo racconta all’AdnKronos lo stesso direttore responsabile Mario Sechi: “Sono arrivati proprio qui sotto e hanno cominciato a urlare di tutto. La cosa più ‘carina’ che ci hanno detto è che saremmo fascisti“.
Una manifestazione che ha destato non pochi dubbi sulle sue modalità. In diretta a Lavori in Corso, Sechi spiega cosa è successo l’altro giorno.
“Hanno cominciato a urlare di tutto contro Libero” – spiega ai nostri microfoni.
Le accuse? In particolare non si è capito a dovere quali colpe avrebbe avuto Libero nella vicenda. Né si comprende perché proprio Libero ne sia stato vittima. Che siano state le ipotetiche posizioni? Intanto le accuse sono le solite: “Omofobi, sessisti, esponenti del patriarcato, e pure fascisti. Noi abbiamo sempre difeso la libertà di espressione anche in forme che possono sembrare non consone, perché comunque poi c’è sempre come dire, la replica e la dimostrazione del ‘controfatto’, diciamo così“.
Il problema però sta in un fatto ben definito.
“Quando tu cominci a sfilare sotto i giornali, sotto le sedi di partito, ovunque dove ci sia, diciamo, un’idea, una posizione, questo non va bene, perché tu non sai mai che cosa succede quando esci lì fuori. Io invito tutti a darsi una bella calmata“.
“Se tu sfili sotto casa mia, lì diventa intimidazione e non va bene. E questo rientra in un certo clima che si è creato e che non va bene rispetto alla questione del femminicidio e così via. Un clima surreale. Tutti dovrebbero tornare un po’ a ragionare. Io ho proposto una visione dei fatti che è quella dei danni che produce l’estremizzazione dal punto di vista culturale di un fatto del genere. Se fosse successo a parte inversa ai colleghi di Repubblica, che ovviamente devono fare lavoro liberamente come lo facciamo noi, che cosa si sarebbe detto?
La verità è che hanno perso le elezioni, se ne devono fare una ragione, devono fare una bella traversata nel deserto, rifare i loro programmi, che non mi sembrano sintonizzati con la contemporaneità e via“
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