Il capolavoro del potere è quando esso riesce a far sì che gli sconfitti della globalizzazione, anziché riverticalizzare il conflitto e riprendere la sacrosanta lotta degli oppressi contro gli oppressori, lottano orizzontalmente fra loro, dividendosi settorialmente tra bianchi e neri, fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, vegani e carnivori e magari anche uomini contro donne, secondo una tendenza sempre più marcata negli spazi alienati della globalizzazione merciforme. Capolavoro del potere, dunque, riuscire a far sì che si scambino gli amici per nemici e i nemici per amici. Per quel che riguarda poi la lotta contro il patriarcato si tratta dell’equivalente dei due minuti d’odio di Orwelliana memoria, ossia dei due minuti che il popolo oppresso produce scaricando le proprie rabbie secondo modalità che mai vanno a contrastare o anche solo a menzionare la contraddizione fondamentale, quella capitale-lavoro, quella dello sfruttamento capitalistico, quella del mondo liquido e finanziario.
che appunto non sono mai nemmeno menzionati. Per inciso, come più volte ho sottolineato, la lotta contro il patriarcato è di fatto oggi la lotta contro unens imaginationis, poiché il patriarcato non esiste più da almeno 50 anni, stante il fatto che la società di capitalismo liquido e finanziario di cui siamo abitatori coatti è una società basata sulla deregolamentazione individualistica di massa e dunque sull’abbattimento del padre, non certo sulla presenza iperbolica del padre quale si ebbe con il patriarcato. Insomma, la lotta contro il patriarcato è davvero un’arma di distrazione di massa che dirotta le attenzioni della critica dalla contraddizione capitalistica realmente esistente e imperversante alla contraddizione, fortunatamente non più esistente, del patriarcato.