Le partite facili, in questa Serie A, esistono soltanto “sulla carta” e proprio per questo la definizione andrebbe aggiornata.
L’Udinese di Cioffi fa capire entro il primo quarto d’ora di aver portato sul prato di San Siro un piano di battaglia sicuramente assennato, tatticamente accorto e potenzialmente fruttuoso, perché i friulani evidenziano un fondo atletico che li fa stare in partita in modo duraturo e che consente di ripartire con brillantezza.
Success e compagni non consentono mai al Milan di appropriarsi del tutto della partita, anche perché i rossoneri quando esercitano il predominio territoriale – al di là dei dati del possesso palla, poco indicativi in assoluto – si affidano agli strappi di un Leão a modo suo generoso, ma che potremmo paragonare a un corteggiatore che non arriva mai al dunque: modi eleganti nelle partenze, inviti seducenti fino agli ultimi venti metri, poi non arriva nemmeno un bacio davanti al portone. Questo fa del Milan una squadra monocorde per quanto concerne lo spartito offensivo.
Capitolo rigore, episodio attorno al quale girano il match e forse anche una parte dei destini rossoneri: un impatto indiscutibile ma al tempo stesso un’infrazione “tenera”, non macroscopica. Non certo scandaloso, una volta concesso, ma tutt’altro che evidente; Pereyra lo trasforma da manuale.
L’ultima mezz’ora del Milan è un assedio corale ma con le munizioni dalle polveri inumidite a causa delle piogge autunnali e con qualche recriminazione nei confronti della direzione arbitrale di Sacchi. Ci si mettono anche i guanti di Silvestri, determinante su Giroud e Florenzi. Si confermano i limiti di una squadra che ha segnato nove gol meno dell’Inter, due più della Juventus ma che ne ha incassati cinque in più rispetto a entrambe, al momento.
In un finale scandito dai fischi sempre più percepibili con i quali la Milano rossonera mostra il proprio dissenso, la squadra di Bijol, arroccandosi, vanifica gli assalti di quella di Pioli, un uomo sempre più solo, sempre meno al comando.