Il mancato entusiasmo dei governi dell’area euro nel costruire il nuovo patto di stabilità, sembra riflettere una lezione appresa dalla crisi dell’euro e dal collasso delle regole precedenti. Tuttavia, la complessità crescente di questo disegno, con uno stile particolarmente ampolloso, barocco, rende il patto di stabilità quasi impraticabile, in parte anche a causa delle numerose aggiunte dei singoli governi nel proseguire La prospettiva quindi di una stretta di bilancio simultanea, ben oltre gli sforzi di altre grandi economie globali, rischia di affondare complessivamente l’area euro in una competizione tra gli Stati membri senza delle regole industriali e commerciali ben chiare. I governi, infatti, europei, intenti morbosamente a controllarsi a vicenda, potrebbero perdere in questa paradossale gara il terreno nei confronti dei grandi competitors veri, che sono gli Stati Uniti, la Cina e altri blocchi.
In questa situazione, quindi, parte della responsabilità sembrerebbe cadere su Berlino che in un momento veramente poco glorioso, con la produzione industriale in declino del 14%, non riesce a trovare un accordo sui vincoli di bilancio. La posizione dell’Italia, che è da sempre l’osservata speciale della Commissione europea, è complicata appunto da una Commissione europea che riscrive i conti e le prospettive di un debito pubblico in crescita se il governo si attiene al suo piano di avanzo di bilancio. Quindi è una situazione che, a ben vedere, fa pensare che probabilmente qualcuno dovrebbe dare una lettura più approfondita ai libri di economia. Come ho cercato di spiegare più volte, l’avanzo di bilancio dello Stato corrisponde a un disavanzo di bilancio della parte privata, cioè delle famiglie e delle imprese.
E quindi tutta questa storia dell’austerity che ci portano avanti da decenni finalizzata evidentemente a dei disegni che non sono certamente quello del fare diventare più ricche le famiglie o le imprese come ormai chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale può riconoscere. In questa situazione il non cambiare politica e non pensare a politiche espansive invece che a politiche restrittive come quelle che hanno caratterizzato gli ultimi decenni ci porterà a perdere ulteriormente competitività nei confronti degli altri blocchi come per esempio la Cina.