“Purtroppo si era messo sulla scia di Monsignor Viganò“, commenta Andrea Cionci.
A destare scalpore nel mondo della cristianità è la rimozione di Papa Francesco di un vescovo statunitense.
“Crediamo o no nella dottrina della Chiesa?“, diceva tempo addietro in una conferenza il vescovo di Tyler, Joseph Edward Strickland.
Una presa di posizione tradizionalista, conservatrice. Un vescovo rimosso. Che sia stata l’avversione contro i passi progressisti della Chiesa ad aver recato fastidio a Bergoglio? Oppure quella condivisione di idee con Monsignor Viganò, che aveva chiesto le dimissioni dell’erede di Pietro? Cionci ne fa un approfondimento in diretta.
Lo stesso Viganò su Twitter commenta la decisione del Vaticano: “Una vile forma di autoritarismo“.
Il sostenitore principale della parziale abdicazione di Ratzinger e autore del Codice omonimo sostiene però che seguire la scia di Viganò non sia scelta saggia. “Si è messo sulla scia di Monsignor Viganò, Monsignor Schneider e altri prelati che stanno conducendo una disastrosa, una catastrofica campagna in cui contestano Bergoglio sulle sue eresie, ma si guardano bene dal disconoscerlo come legittimo Papa.
O meglio, Monsignor Viganò fa un altro gioco: cerca di trovare delle strade che comunque si rivelano dei vicoli ciechi“.
La prima via di Viganò sarebbe quella di denunciare un’ipotetica eresia del Santo Padre.
Ma: “In ogni caso il Papa eretico non lo si può deporre. Perché altrimenti si cadrebbe nell’eresia del conciliarismo, quell’eresia per cui degli organi ecclesiastici possono attaccare il Papa, il quale invece non può essere giudicato da nessuno. Siamo di fronte in sostanza a un fenomeno di gatekeeping conclamato“.
Per Cionci l’unica via che potrebbe dimostrare l’invalidità dell'”habemus papam” è quella descritta nel Codice Ratzinger.
Benedetto XVI avrebbe rinunciato al solo ministerium, non abbandonando invece il munus petrino, ovvero la condizione di Papa (qui la tesi riepilogativa).
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