Il Bernabeu ha la pancia piena, di punteggio nel Gruppo C e di ambizioni per la vittoria di un trofeo che con la storia delle Merengues va a braccetto da sempre.
Il Napoli in livrea scura scende però con la basica compattezza infusagli da Mazzarri – che gode anche delle pregresse défaillance altrui – e con una certa, apprezzabile convinzione.
La partita apre subito le finestre alle variazioni sul tabellino, ma soprattutto si sente coccolato il pallone: non soltanto dai Kroos e dai Valverde, ma anche dai Di Lorenzo e dagli Anguissa. È la serata dell’autostima del Napoli, che se nel finale rischia, a più riprese, con grandi risposte di Meret, dopo aver raggiunto il 2 – 2 con Anguissa si era permesso anche di cercare ulteriore gloria.
Hanno giocato a calcio, hanno sfruttato le proprie, evidentemente diverse, cilindrate tecniche, Real e Napoli, però i partenopei hanno accettato la superiorità altrui subendo nel finale l’avvolgimento del palleggio altrui, non la paura del grande avversario. Il 3 – 2 madridista arriva con merito e con uno spiffero tra i guanti di Meret, ma il risultato è stato in parte episodico, i contenuti no.
Un focus a parte per Jude Bellingham: atleta totale, prima che calciatore – è facile prevederlo – epocale. La muscolarita che sa essere dirompente non intacca mai l’eleganza della corsa o del gesto tecnico.
Ci siamo divertiti noi, fino alla fine, ma conta relativamente; chiaramente si è divertito il Real, che avrebbe potuto legittimamente arrotondare il risultato se Joselu non avesse avuto le polveri bagnatissime fino al quarto di recupero; ne esce con decoro il Napoli, però, che si è scoperto più squadra di ieri.
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