Che non sarebbe stato facile, era nelle premesse; che fosse fondamentale capitalizzare le occasioni per fare gol, era scontato: il primo tempo dell’Italia a Leverkusen è stato un alternarsi di situazioni che hanno tradotto entrambe le situazioni, con l’intensità dell’Ucraina che a tratti arrivava a essere famelica e con le transizioni gestite con rapidità e con un’identitaria occupazione degli spazi da parte di Barella e compagni. Agli uomini di Spalletti, in più di un’occasione, è mancato il colpo risolutore dopo l’individuazione del varco giusto, dalla nitida occasione fallita da Frattesi fino a quelle di Barella e Chiesa.
Ci deve mettere i guanti Donnarumma, che non fa tutto benissimo ma che sulla conclusione a colpo sicuro di un inesauribile Mudryk al minuto 65 riesce a fare in modo di custodire lo 0 – 0 tra i guanti.
Spalletti a Chiesa non rinuncia fino all’ultima stilla di sudore del figlio d’arte; nel frattempo lì davanti era arrivato Scamacca in luogo di Raspadori per la seconda parte.
La seconda parte della ripresa è anche un po’ uno stridere di parastinchi e un sollevar di tacchetti, con i collegamenti tra i reparti sempre più difficoltosi e con la percussione di Kean, subentrato a Chiesa dopo l’ultima sportellata subita da quest’ultimo, che non premia il liberissimo Politano, che ha ragione di lamentarsi.
Aumenta la muscolarità dei suoi Rebrov, predica lucidità Spalletti, negli ultimi giri di lancetta del tempo regolamentare; l’innesto di Cristante è certamente servito a gestire la palla fino al termine dei minuti di recupero, ma è proprio il romanista a impattare sull’articolazione di Mudryk in piena area. Se non lo avessero dato a noi, ci saremmo lamentati.
Fiato sospeso, recriminazioni ucraine, “Popopopopopoooo…” in sottofondo: quando i minuti sembrano eterni, da una parte è Paradiso, dall’altra Purgatorio.
Tirando con i denti la fune dalla nostra parte, rischiando e forse venendo graziati per il mancato rigore all’Ucraina, andiamo all’Europeo.
Paolo Marcacci