Per la serie ‘follie occidentali’: la carne coltivata è l’ennesima minaccia alla nostra identità

Non dico nulla di particolarmente originale se dico che la neolingua orwelliana abita stabilmente in mezzo a noi. Ormai lo sappiamo benissimo. Le aggressioni imperialistiche made in USA vengono chiamate pudicamente missioni di pace.
I colpi di stato finanziari vengono placidamente definiti governi tecnici. La distruzione capitalistica della scuola viene battezzata come buona scuola e molti altri esempi si potrebbero ancora addurre agevolmente. Vi è però ora un nuovo caso di ridefinizione orwelliana del nostro lessico.
Da qualche tempo, non vi sarà sfuggito, si parla di carne coltivata, come se fosse un’espressione scientifica e naturale. I pedagoghi del pensiero unico politicamente e gastronomicamente corretto bacchettano anzi coloro i quali ancora si ostinino a usare l’espressione carne sintetica. Perché quest’ultima espressione, carne sintetica, lascia in effetti trasparire chiaramente una qualche contraddittorietà nella pratica con cui ormai la tecnica gestisce, amministra e produce integralmente perfino il nostro modo di mangiare.

La neolingua, d’altro canto, lo sappiamo, si basa anche su questo presupposto. Far sparire dal linguaggio le contraddizioni a ciò che esse, continuamente presenti nella realtà, non si manifestino e risultino invisibili. Anche un bambino delle scuole elementari dovrebbe ben sapere che bovini, suini o vini si allevano e non si coltivano.
Dato che la coltivazione riguarda semmai altri ambiti specifici, quello degli ortaggi ad esempio. E quindi l’espressione carne coltivata non ha alcun senso, anzi, bisognerebbe correggerla con la penna blu. Qui però la neolingua si impone, stravolgendo l’organizzazione mentale e linguistica più consolidata.

E allora l’espressione orwelliana carne coltivata serve ancora una volta ad addomesticare il pensiero e a rimuovere ogni possibile critica dell’esistente. In particolare serve a non far vedere come la carne sintetica sia per certi versi il non plus ultra della tecnicizzazione integrale della vita. oltre che, come più volte ho sottolineato, il compimento stesso della distruzione delle identità della tavola, che sono poi probabilmente le identità più forti e immediate.
L’ho detto e lo ridico, la nostra identità si basa anche strutturalmente sul mangiare la carne. Sul mangiare la carne si basano i grandi poemi omerici, ove gli eroi più validi vengono premiati con migliori porzioni di carne. Sul mangiare la carne si fonda l’intera nostra cultura, anche nelle teorizzazioni contrarie al consumo della carne, come nel veganesimo e nel vegetarianesimo, soprattutto quest’ultimo teorizzato da Pitagora, Porfirio, Plutarco, ma l’idea stessa di rimuovere completamente la carne per tutti in maniera tecnicizzata, ebbene questa rientra a pieno in quella che con Emanuele Severino dirò la follia dell’Occidente.

La follia di un Occidente che pretende ormai di affidarsi integralmente alla tecnoscienza e dunque alla disposizione illimitata dell’essente ridotto a fondo disponibile, governabile e amministrabile. Questa tecnicizzazione integrale dell’uomo e dell’essente con la quale l’uomo finge di essere ormai una divinità, Omo Deus è il titolo di un libro di Harari per inciso, segna in realtà ormai la completa dimenticanza dell’essere, la completa dimenticanza della nostra storia e di più il precipitare in un abisso senza fondo, quello del nichilismo profetizzato da Nietzsche e nel quale ora ci troviamo dentro fino al collo.

Radioattività-Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro