Oggi parliamo di un personaggio che è stato anche sfortunato perché non ha mai vinto un Mondiale, sia nel 1982 che nel 1986. Se non ci fosse stato Socrates nessuno sarebbe stato in grado di inventare uno come lui. Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira. Questo racconto andrebbe intitolato ‘Storia di un dottore’, effettivamente era un dottore che non faceva altro che essere se stesso.
Il calcio è stato la sua migliore espressione politica. Socrates ha saputo interpretarlo divinamente, secondo la maniera che i geni individuano non soltanto per sopperire ad alcune loro mancanze ma anche per trasformare i difetti in pregi. Pelé diceva di lui: “Spalle alla porta riusciva ad essere molto più efficace di centinaia di altri brasiliani”. Esibiva il suo colpo di tacco quasi in continuazione durante le partite ma mai fine a se stesso. Due istantanee tecniche vanno isolate. Prima di tutto il gol all’Unione Sovietica nel 1982 in Spagna: doppio dribbling sulla destra e poi una conclusione impressionante per potenza e precisione sotto la traversa. Poi con la maglia della Fiorentina, nella stagione 1984-1985, un pallonetto contro l’Atalanta spettacolare dopo aver coccolato la palla per una decina di metri. La sua classe era cristallina, che magari in Italia ha brillato ad intermittenza, ma anche per una sola stagione in Serie A non aveva esitato a dimostrarla.
Il suo stile di vita non era modellato né sul dovere né sul piacere, casomai sugli umori di un uomo che non ha fatto altro che essere se stesso nel concepire il calcio come una delle tante facce della sua esistenza. Al pari della laurea in medicina e delle sue idee politiche conosciute di estrema sinistra. Aveva questa barba che richiamava in qualche modo Che Guevara, il tutto spalmato in questo corpo monumentale. Si diceva che Socrates fosse lento, ma chi lo ha affrontato ha detto che dopo una decina di metri la sua falcata era inarrestabile per l’avversario. Basta chiedere a Dino Zoff e alla difesa italiana quando quel mitico pomeriggio del 1982 subirono l’1-1 proprio da Socrates dopo il vantaggio di Paolo Rossi.
Ora parliamo della sua politica, l’animo del suo modo di giocare a calcio. Qui arriva una pagina mitica del calcio brasiliano di fine anni ’70 e inizio anni ’80. La chiamarono Democracia Corinthiana, e forse molto più dell’utopistica autogestione di una squadra. Fu un vagito impensabile di democrazia in un paese che faticosamente stava uscendo da una brutale dittatura militare. Questo episodio influenza non poco la società di quella Nazione.
Lo sbarco in Italia si materializza nel 1984. Nel 1986 da capitano del Brasile partecipa al Mondiale in Messico ‘regalandosi’ la possibilità di sbagliare un calcio di rigore sanguinoso contro la Francia, lui che era un tiratore infallibile. Questo perché il Dio del calcio è capace di sgambettare i più scettici.
Bisogna fare un salto in avanti. 4 dicembre 2011 con un sofferto 0-0 a San Paolo, in casa del Palmeiras, il Corinthians si laurea campione. Prima dell’inizio della partita tifosi e giocatori hanno il pugno alzato. Era il loro modo per ringraziare un uomo in quella che era sempre stata la profezia del Dottor Socrates: “Vorrei morire il giorno in cui il Corinthians vince il campionato”. Come dicono i vecchi brasiliani: “Valeu Dottor Socrates”, ti nominiamo soltanto adesso mentre apriamo l’ultima birra.