Torniamo oggi a parlare del famigerato MES.
Si deve consegnare il tanto agognato “prestito paracadute” al fondo di risoluzione unico.
È un affascinante giro di parole, una serie di termini complicati e tecnici che nascondono dietro questa voluta complessità i pilastri della cosiddetta “Unione bancaria” con la minaccia incombente della dissoluzione.
Ebbene, qual è il segreto che si nasconde dietro a questa premurosa necessità?
Il fatto che questo fondo, questo prestito paracadute, privato a sua volta dei paracaduti statali dal 1° gennaio, risulta troppo esile per poter camminare da solo, spingendo l’Eurogruppo a sforzarsi dal 2018 per convincere controvoglia il MES a intervenire.
Con modesti 80 miliardi, questo fondo di risoluzione unico sembra una goccia in un deserto di crisi bancarie.
Dove il MES, una insolita entità bancaria, ha il curioso ruolo di non prestare più soldi da anni e di perdere anzi 60 milioni nel 2022.
Inoltre la Banca Centrale Europea ha lanciato un campanello di allarme sul settore immobiliare.
Ma fortunatamente la riforma del MES sembrerebbe essere qui per salvare le banche non italiane da un’apocalisse immobiliare.
Insomma, una cosa può essere data per certa. L’ineguagliabile solidarietà europea sembra farsi viva quando si tratta di affrontare i problemi soltanto di uno Stato membro, cioè i problemi di Berlino, della Germania.
Ma, naturalmente, tra le mille ragioni per respingere la ratifica della riforma del MES, quella di cui vi parlo è soltanto l’ultima goccia di un mare di follie che ho raccontato attorno a questo Meccanismo Europeo di Stabilità che sembrerebbe essere un “supereroe finanziario”.
La vera questione, a mio parere, è il fatto che ci si dovrebbe interrogare invece sul perché falliscano le banche, non su meccanismi di stabilità. E allora capiremmo che le banche falliscono, soprattutto quando parliamo di banche che operano al mercato delle famiglie e delle imprese, perché l’economia non riesce a rimborsare.
E perché non riesce a rimborsare i prestiti? È troppo sbrigativo pensare che sia una questione sociologico-psicologico.
Le ragioni sono molto più gravi, più profonde e derivano dal fatto che, come io scrivo nei miei libri, non siamo affatto in una crisi ma in un cambiamento deliberato e pianificato di sistema economico. Ecco perché propongo l’economia umanistica.
Malvezzi quotidiani – L’economia umanistica spiegata bene