La prima volta che ne sentii parlare fu nella redazione romana della Gazzetta dello Sport, giocando a briscola dopo le sette di sera, quando per ordine del nostro capo – Galdi – buttavamo le macchine da scrivere. E poiché era stato licenziato dal Bologna, Manlio Scopigno era uno che veniva spesso a trovarci, era diventato nostro amico e ci parlava di questo ragazzo.
Secondo lui l’allenatore che l’avesse avuto si sarebbe garantito una grande carriera per merito dei suoi gol e della sua bravura.
Fu così che Gigi Riva andò al Cagliari.
Facevo il Giro d’Italia (e il Giro d’Italia una volta capita a Cagliari), quando Manlio Scopigno, anche lui a Cagliari, mi fece entrare allo stadio da una porticella di servizio. Mi misi seduto e Riva ci deliziò, cominciò a dilettarci con i suoi sinistri e i suoi gol. Allora lo chiesi a Scopigno: “Ma come fa questo qui a essere così bravo?”
– “E’ così bravo perché è nato bravo. Se vuoi vieni a vedere qualche allenamento“.
Gli allenamenti di Scopigno, soprattutto quando faceva tardi il sabato sera, la domenica mattina erano nei corridoi. Tra le stanze d’albergo dove il Cagliari alloggiava, Riva si esercitava con il suo sinistro, sbattendo il pallone da una parte all’altra. Per non parlare delle porte da hockey: mezz’ora di allenamento Riva la faceva così, tiri al volo a centrare le porte da hockey.
Indovinava 9 tiri su 10, un giorno rimasi basito e chiesi a Gigi com’era stato possibile.
La risposta mi colpì tanto che mi rimase dentro.
– “E’ stato possibile“, disse Riva, “ma forse scambierei la felicità di una vita vissuta da bambino, un’infanzia che non ho avuto, con tutto questo“.