Cattivi medici, cattiva istruzione.
Tutto parte da come una professione viene percepita da chi la deve imparare, soprattutto per chi deve passarci gli anni sui libri universitari.
Per Mariano Bizzarri, oncologo e professore associato presso il dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza, le cose stanno così. In più di quarant’anni di insegnamento, mai come prima, nell’esperienza personale del professore, si è visto tanto distacco tra studenti e professione. Da chi l’hanno imparato? Da quel distacco, tutt’altro che remoto, tra medici e pazienti. Esemplare in questo senso è stato il periodo pandemico, dove il conflitto interno veniva di volta in volta caricato sulla base di una scelta: il vaccino anti-Covid.
Tra chi si offriva sui social di applicare diversamente il giuramento di Ippocrate con chi avesse fatto la scelta meno convenzionale.
E chi invece si ostinava a voler trovare un colpevole in ogni caso. Non si esclude, come dice Fabio Duranti, che la malasanità esista.
Tuttavia, alcune cose sembrano certe.
“Se la burocrazia – dice Duranti – poi alla fine fa pagare il medico, la colpa non è certamente del cittadino che vuole difendersi, ma è di una burocrazia che va sostituita, va cambiata“. In secondo luogo, è la mancata vocazione, o comprensione di questa, di chi sceglie di studiare dopo il liceo. Infine, bisogna prestare attenzione, secondo Bizzarri, al mancato rigore, alla mancata selezione.
“Vogliamo degli ottimi medici, però non dobbiamo fare le selezioni e dobbiamo permettere a tutti di partecipare? No, non funziona così“.
Il dibattito integrale a Un Giorno Speciale.