“Lo smartphone ci ascolta e dunque ci controlla e impiega i nostri dati per eventuali fin di business“. A lanciare questo durissimo jacuzze è adesso direttamente il Sole24ore, l’osservatore romano della globalizzazione turbocapitalistica. Il quale parla addirittura di evidenze a suffragio di questa tesi che non sapremmo definire altrimenti se non inquietante.
D’altro canto, a tutti sarà capitato almeno una volta di domandarsi perché mai le app impiegate per modificare le foto, ad esempio, ci chiedano di poter accedere al nostro microfono. Per comprendere questi processi e dopo fare riferimento a un testo fondamentale, quello della studiosa di origini russe Zuboff, il suo testo si intitola “Capitalismo della sorveglianza” ed è un ponderoso studio sul nuovo spirito del capitalismo digitalizzato. La tesi dello studio è quella in coerenza con la quale i colossi dell’internet hanno ormai posto in essere un vero e proprio panopticon digitale, per impiegare con una variazio la formula di Jeremy Bentham.
Il Panopticon, così come lo analizzava Bentham e lo studiava in seguito Michel Foucault, è una struttura di controllo totale, al cui interno i sudditi sono potenzialmente osservati sempre. Non sanno se sono attualmente osservati ma il fatto di poter essere sempre osservati fa sì che si comportino come se realmente sempre lo fossero. In sostanza una sorta di carcere permanente al cui interno si è controllati incessantemente.
Insomma, grazie al Panopticon digitale, i colossi della rete, senza tregua, estraggono dati comportamentali dalle nostre navigazioni digitali. In sostanza, il capitalismo della sorveglianza, così come viene messo a tema dalla Zuboff, si fonda su due processi che risultano, a uno sguardo attento, reciprocamente innervati. Per un verso, il panopticon ci controlla senza posa, spiandoci e tenendoci costantemente sotto osservazione in tutto quello che diciamo, scriviamo e facciamo.
Insomma, una società di controllo totale che ricorda nemmeno troppo remotamente quella al centro della distopia di Orwell 1984. Per un altro verso, il Panopticon digitale usa a fini di profitto i nostri dati, fa business sui nostri comportamenti, sulle nostre abitudini e sulle nostre preferenze. Non vi è davvero nulla di cui stupirsi, dunque, in relazione al fatto che anche gli smartphone, oltre ad Alexa e alle cosiddette reti social, ci ascolti e, ininterrottamente, estragga dati comportamentali.
Insomma, siamo entrati nell’evo del controllo totale, quello però che si presenta come regno della libertà. Ed è davvero un paradosso pensare al fatto che l’ordine del discorso condanni le forme di controllo, peraltro ancora imperfette, proprie dei regimi totalitari novecenteschi e al tempo stesso celebri come libertà le proprie, ben più raffinate, forme di controllo che ormai divengono a tutti gli effetti totali e totalitarie. Insomma aveva davvero ragione Teodoro Adorno quando scriveva che il mondo contemporaneo sempre di più assomiglia a un campo di concentramento in cui non si è più in grado di cogliere la natura stessa della prigione in cui siamo, da che non siamo più in grado di immaginare un mondo esterno rispetto ai suoi spazi blindatissimi e a questo punto anche iper sorvegliati.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro