Torniamo a parlare del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il PNRR vive delle settimane di analisi e prospettive incerte.
Fitto ha presentato la relazione semestrale sull’attuazione del Piano, difendendo i 45 miliardi di spesa finora, nonostante le critiche sulla sua esiguità rispetto all’obiettivo finale. Si affronta il problema della progressione non lineare della spesa, con Fitto che si trova a navigare in un mare di burocrazia. La Commissione europea, d’altra parte, dipinge invece un ritratto roseo del Next Generation European Union, nonostante le critiche del Financial Times sull’effettiva implementazione.
Le stime della Commissione sull’impatto economico del programma sono decisamente lontane dalla realtà, con Gentiloni che ammette un impatto del 2022 cinque volte, ripeto, cinque volte inferiore alle previsioni. Insomma, l’ufficio parlamentare di bilancio ha ridimensionato ulteriormente le proiezioni, lasciando incerti gli effetti previsti sul PIL. Fitto e Gentiloni si trovano quindi in due situazioni diverse. Fitto difende la spesa, mentre Gentiloni si affida al futuro.
La Commissione, insomma, si vanta di avere influenzato le priorità di investimento, ma resta da vedere se porterà a risultati concreti.
La situazione si evolve, ma resta l’incertezza sull’efficacia degli investimenti e sulle destinazioni delle spese con il rischio di sprechi e inefficienze nel lungo termine.
Insomma, nel percorso del PNRR emergono due incognite significative.
Per concludere gli investimenti ci si aspetta un aumento del debito perché i finanziamenti ricevuti finora hanno prevalentemente ridotto il deficit. Inoltre è da chiedersi: le importazioni hanno mai favorito la crescita del PIL? Insomma la situazione è complessa per una ragione fondamentale che noi continuiamo a richiedere e a credere come a un tabù intoccabile nel fatto che si debba dire agli investitori, o meglio agli imprenditori, che cosa fare.
Gli imprenditori, che sono quelli ai quali io faccio consulenza tutti i giorni di strategia, hanno delle idee ben precise e ben chiare su cosa fare dei propri soldi. Invece oggi funziona così: i soldi vengono presi dalle tasse, poi le tasse vengono mandate a Bruxelles attraverso garanzie del sistema italiano, il quale poi dopo deve dire ai propri imprenditori che cosa fare, perché le regole le dettano i burocrati di Bruxelles, i quali poi dopo, come si vede nei fatti, non ottengono i risultati che invece gli imprenditori, se lasciati liberi, avrebbero ottenuto.
Malvezzi Quotidiani, comprendere l’economia umanistica con Valerio Malvezzi