E se il tanto attaccato complottismo finisse anche nel mondo del cinema?
Una pellicola del 2015 ha già scavalcato quella linea. Il film “Nuovo ordine mondiale” di Fabio e Marco Ferrara tratta argomenti di cui si parla molto poco nel grande pubblico dei media. Quel tabù è il potere incentrato nelle mani di alcune élite disposte a usare qualsiasi mezzo per controllare i sottoposti, la plebe. L’esito della critica si sintetizza facilmente nelle parole del Los Angeles Times, riprese da Wikipedia, l’enciclopedia online, per catalogare il film. “Ciò che è semi-interessante del film è il modo in cui i fratelli Ferrara si addentrano nelle varie speculazioni paranoiche prese dai meandri più oscuri dell’internet per tessere il tutto in una super-teoria a malapena coerente“.
Sentenza fatta, da cui scaturiranno sul web le reazioni più avverse.
Perché screditarlo? Pura critica cinematografica priva di ideologismi o – appunto – ideologia anti-complottisti?
Quello che fa storcere il naso è quel che viene invece detto di un’altra opera, stavolta letteraria.
“Il capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff, sociologa statunitense plurilaureata, assume una linea critica verso un mondo digitalmente controllato, in cui un “grande altro digitale” ha accesso alle nostri informazioni più svariate.
In questo caso, al contrario del film italiano, le recensioni sono più che positive.
Anche Roberto Saviano ne parla bene: “Ogni nostra email – riporta il sito della LUISS – ogni nostra interazione, ogni nostra emozione è venduta, controllata, manipolata. Mai la società umana ha avuto una così grande concentrazione di ricchezza, conoscenza e potere in così poche mani. Non ve ne siete accorti? Leggete Shoshana Zuboff“.
La copertina ricorda addirittura un grande classico del dispotismo: il Grande Fratello di Orwell nel suo 1984. Anche quest’ultimo però generalmente messo da parte e bollato.
Perché questa discordanza?
L’intervento di Gian Luca Barneschi in diretta.
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