Purtroppo Navalny è morto. Dico purtroppo non solo perché la morte di un essere umano è sempre un fatto triste, al cospetto del quale il rispetto deve trionfare, anche se della persona defunta non si condivide pressoché nulla.
Ma anche perché l’Occidente a trazione atlantista ha già principiato, come prevedibile, a impiegare la vicenda chiaramente in funzione antirussa. E lo ha fatto lasciando intendere che la responsabilità della morte di Navalny sia da imputarsi allo zar omofobo e rossobruno Putin, che l’Occidente, con capitale Washington, ha già da tempo innalzato a proprio principale nemico per il semplice fatto che, giova rammentarlo, la Russia resiste all’americanizzazione del proprio territorio e svolge oltretutto la funzione fondamentale di opposizione all’imperialismo americano. Dunque la potenza del dollaro con i suoi alleati e subalterni sta già utilizzando la morte di Navalny per fomentare ulteriormente la propaganda antirussa, quasi come sempre più si avvicinasse la possibilità di una guerra preventiva contro la Russia stessa.
Il fatto che al cospetto della morte di un uomo si debba provare rispetto quandanche, ed è il caso, non si condivida nulla delle sue posizioni, non deve però necessariamente portare a forme di eroizzazione e di beatificazione post-mortem. Quelle che invece si stanno puntualmente realizzando in questi giorni anche nella nostra periferica Italia, dove ad esempio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel ricordare Navalny, ha esaltato il suo desiderio di libertà. Proprio così, “desiderio di libertà” è stata l’espressione impiegata, a mio giudizio non in maniera molto corretta, dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Dico in maniera non troppo corretta da che Navalny non era un eroe e soprattutto non era il paladino della libertà e della democrazia come aveva provato a dipingerlo da subito con zelo l’Occidente atlantista. Non diversamente da quanto già accaduto con il battaglione Azov, il gruppo ucraino di estrema destra neonazista, riabilitato dall’Occidente in funzione antirussa e addirittura presentato come una pia conventicola di lettori della ragion pratica di Kant. Ebbene, allo stesso modo, anche Navalny viene ora celebrato ed esaltato, glorificato e incensato come eroe della libertà, dei diritti e della democrazia.
Eppure, se si guarda retrospettivamente alla sua storia, ci si accorge che presenta, proprio come il battaglione Azov, un passato niente affatto entusiasmante, in qualità di esponente di una destra estrema, non distantissima da posizioni neonaziste, e palesemente xenofoba. Lo ammettevano, non molti anni fa, perfino gli stessi giornali mainstream che adesso fanno a gara nel celebrarlo come eroe. Ad esempio, La Stampa di Torino, quotidiano sabaudo par excellence, nel 2012 definiva Navalny apertamente xenofobo e di estrema destra.
Ancora in questi giorni, con rara onestà intellettuale va detto, il Corriere della Sera ha ricordato che nel 2008 il signor Navalny produceva video nei quali sosteneva la tesi oscena e disumana secondo cui i musulmani erano “scarafaggi da eliminare“, sic. La verità è che il signor Navalny non ha mai combattuto per una Russia libera e democratica. Prima si è battuto per una Russia di estrema destra e fascistoide.
Poi, forse anche grazie all’intervento di Washington, è divenuto uno strenuo araldo della società liberale atlantista, aspirando a fare della Russia una colonia di Washington.
Non trasformiamo Navalny in un eroe o in un martire della libertà e della democrazia, semplicemente perché non lo è stato.
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro