Il barone Boris Dixkuhl, che fu uditore delle lezioni di Hegel a Berlino, racconta che Hegel riteneva che l’Europa del suo tempo fosse una gabbia popolata ormai da due soli tipi umani. Per un verso, coloro i quali chiudono e amministrano la gabbia. E per un altro verso, quanti all’interno della gabbia stessa cercano un angolino dove poter stare tranquilli senza dover mai prendere posizione rispetto alle sbarre. Ora, sembra quella di Hegel, raccontata dal barone, una immagine assai aderente anche al nostro presente storico, ove per un verso abbiamo gli amministratori della gabbia, le classi dominanti, la plutocrazia neoliberale senza frontiere, e per un altro verso gli scontenti che però cercano nella gabbia un angolino dove stare tranquilli all’ombra del potere.
In effetti, l’ordine della globalizzazione neoliberale si caratterizza proprio in questi termini. Non più il proletariato di Marx, in cerca della propria emancipazione dall’alienazione capitalistica, e nemmeno il borghese di Hegel, radicato nella vita etica, sono i soggetti di riferimento. Il soggetto oggi dominante è invece l’oltreuomo di Nietzsche, l’Übermensch, che trasvaluta con il martello tutti i valori e fa valere la volontà di potenza, diventa il soggetto di riferimento del nuovo paesaggio global liberista.
E questa è in fondo l’antropologia delle nuove masse desideranti e post-moderne degli oltre uomini nicciani, narcisisti e gaudenti, i quali sono abitatori di una open society sempre più simile a una gabbia d’acciaio, la cui apertura per l’individuo è coestensiva rispetto al suo potere d’acquisto. I soggetti che ancora siano inappagati nella gabbia d’acciaio per parte loro non aderiscono alle figure della indocilità ragionata della dialettica di Hegel e di Marx, consapevole, per dirla con lo stesso Hegel, che il finito non può essere assolutizzato poiché nel ritmo del divenire sarà superato in nuove figure storiche. Al contrario, gli inappagati ricadono oggi per lo più nella figura weberiana della Enzauberung, il disincantamento di chi è convinto che dalla gabbia non si possa proprio evadere.
Insieme ricadono in quella figura oggi egemonica della tecnica di Martin Heidegger e dei suoi epigoni in Italia Severino e Galimberti. La tecnica di Martin Heidegger non è altro se non il capitalismo di Marx pensato come non oltrepassabile in virtù della prassi del soggetto. Se preferite, la tecnica di Heidegger è la caverna di Platone murata, senza possibilità alcuna di esodo.
Ebbene, in tal guisa, l’inconciliazione teorica di chi è inappagato dall’inautenticità della tecnica trapassa poi puntualmente nella conciliazione pratica. Conciliazione pratica che scaturisce dalla convinzione che la gabbia, per quanto orrenda e inautentica, debba comunque essere accettata, da che non può essere mutata, abbattuta o rovesciata. Se per gli alfieri dell’incoscienza felice postmoderna il mondo dell’ascissione turbo-capitalistica è il migliore, e si ha allora l’apologetica diretta, per gli epigoni della tecnica heideggeriana il mondo in cui viviamo è il peggiore, ma è anche solo l’unico possibile, e si ha in tal guisa una apologetica indiretta del mondo dato.