È notizia ufficiale e largamente discussa, perché effettivamente molto discutibile.
La Francia, nei giorni scorsi, ha posto nella propria Costituzione il diritto all’aborto.
La notizia, come dicevo, è da subito divenuta oggetto di un vivace e a tratti infuocato dibattito in tutta Europa.
Come sempre ha prodotto il duplice fronte contrapposto dei favorevoli e dei contrari, di quelli che salutano con gioia l’introduzione di questo nuovo diritto nella Costituzione francese e di quelli che viceversa lo contestano duramente.
Per quel che mi riguarda, in riferimento soprattutto al caso dell’Italia, mi sento di dire che la legge sull’aborto così com’è risulta giusta e perfettamente ragionevole. Ammette l’extrema ratio dell’aborto e insieme prevede la possibilità di indurre le donne a riflettere prima di compiere un gesto tanto radicale. L’aborto come semplice sgravio di responsabilità, secondo i canoni di una società del consumo che prevede il godimento senza l’assunzione di alcuna responsabilità, come già notava Pasolini, sicuramente è qualcosa di disdicevole e di ampiamente criticabile. Ma è altrettanto vero che l’aborto, nei casi estremi di stupro o di condizioni del nascituro tali da metterne a repentaglio le possibilità stesse di una vita felice, non può essere negato a priori. Detto altrimenti, io sono personalmente per la vita e non per la morte e riconosco il diritto di aborto come extrema ratio, non certo come scelta a cuor leggero da compiersi per liberarsi da ogni responsabilità.
Tanto più che negare il diritto all’aborto non significa negare l’aborto stesso, che come sappiamo continuerebbe a esistere in forme clandestine, con le quali a patirne le conseguenze sarebbero, come sempre, le donne di condizioni sociali più basse.
Come appunto era prima che l’aborto diventasse un diritto in Italia. Le donne agiate abortivano all’estero, quelle di condizioni più basse morivano sotto i ferri, in clandestinità, in Italia. Sotto questo profilo capisco perfettamente le ragioni acute con cui Pasolini si opponeva al diritto di aborto, ma non le condivido. Perché, come ho ricordato, eliminare il diritto all’aborto non significa affatto eliminare l’aborto stesso.
Bisognerebbe allora insistere soprattutto sull’educazione, segnatamente sull’educazione alla vita e al suo rispetto, riconoscendo il diritto all’aborto come extrema ratio. Detto altrimenti, l’aborto non si elimina ponendolo fuori legge, ma educando al rispetto della vita.
Ciò detto, porre addirittura in Costituzione il diritto di aborto, come ora fa la Francia, mi pare un’esagerazione francamente discutibile.
Non basta forse la legge sull’aborto, esistente in Francia come in Italia? Che senso ha trasformare l’aborto in diritto costituzionale?
Sembra quasi un voler menar vanto della possibilità di abortire, della quale a ben vedere vi è poco di che vantarsi, dato che essa è anzi un caso estremo, che genere indubbiamente dolore e sofferenza in chi lo pratica.
Davvero si può pensare che l’aborto debba essere in costituzione come il diritto alla libertà di espressione o il diritto al lavoro?
Sembra davvero che in Occidente oggi, a ogni latitudine, si respiri un clima di morte e di odio verso la vita in tutte le sue determinazioni.
E in questo contesto che si capisce come il diritto all’aborto tenda a essere trasfigurato quasi in un motivo di vanto.
Come se appunto abortire non fosse una scelta dolorosa ed estrema, ma un piacere quotidiano per i consumatori che, su questo aveva ragione Pasolini, vogliono il godimento senza l’assunzione di alcuna responsabilità.
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – con Diego Fusaro.