Nella stazione di Roma Tiburtina ha fatto la sua epifania nei giorni scorsi la scritta a caratteri cubitali “SIETE INSETTI”. Si tratta di una probabilmente efficace trovata pubblicitaria per reclamizzare, se ho capito bene, una nuova serie della piattaforma turbo globalista Netflix.
Una piattaforma il cui unico auspicabile merito sarà quello di mandare presto al museo delle anticaglie la televisione e tutti i suoi programmi, nonché i suoi conduttori. La frase, “Siete insetti” suona però davvero sinistra, ma al tempo stesso perfettamente in linea con lo spirito della globalizzazione neoliberale, che potremmo anche definire globalizzazione della disuguaglianza. Essa non soltanto già da tempo aspira a fare sì che i suoi sudditi, i nuovi miserable, si nutrano di insetti, mentre ai piani alti i Patrizi no border continueranno a titillare i loro palati con aragoste e caviale prelibatissimi.
La globalizzazione neoliberale, in effetti, considera il “Popolo degli abissi“, per riprendere il noto titolo di Jack London, come una massa esecrabile di insetti. Insetti che possono essere calpestati a piacimento, senza che mai vi siano moti di contestazione e di rivolta, di insurrezione e di protesta. Il tallone del padronato cosmopolitico, per riprendere un altro noto titolo di Jack London, preme ogni giorno di più sui descamisados del globalismo, vale a dire sugli infelici sudditi di quella che ho appellato la globalizzazione.
Non solo il tallone li calpesta e li umilia, ma tende anche a privarli di tutto, secondo quanto programmaticamente teorizzato dal partito di Davos: “Nel 2030 non avrete più niente e sarete felici”… Parafrasando Rosa Luxemburg, la proprietà capitalistica si converte in diritto di appropriarsi della proprietà altrui. Insomma, se quella reclame comparsa dalla stazione di Roma risulta particolarmente inquietante e tanto continua a far discutere, ciò dipende principalmente dal fatto che essa sembra cogliere, forse al di là delle sue intenzioni, un tratto essenziale del nuovo disordinato ordine global-capitalistico.
Vale a dire la sua tendenza a produrre un dislivello abissale e sempre crescente tra i primi e gli ultimi, tra gli happy few e la massa dannata delle nuovi plebi moltitudinarie, plebi moltitudinarie generate a propria immagine e somiglianza dalla globalizzazione. Nel farsi assoluto e totalitario, il nuovo spirito del turbocapitalismo disegna un paesaggio che potremmo ragionevolmente definire tecno-feudale, contraddistinto com’è dalla compresenza di una tecnicizzazione sempre più elevata e dal ritorno di una società di tipo feudale. una società tecno-feudale nei cui spazi i nuovi signori comandano in maniera arbitraria e assoluta sulle nuove plebi, private di ogni diritto e financo della dignità.
Cioè sulle nuove plebi ridotte a rango di insetti che possono essere trattati come privi di dignità, calpestati senza remore e in fondo ritenuti del tutto inessenziali dal padronato cosmopolitico. Sempre più allora la società tecno-feudale assomiglia a quel collettivismo neo-Oligarchico descritto in 1984 da Orwell, nella forma di una piramide in cui al vertice pochissimi detengono le proprietà del mondo intero e in basso i più sono privati di tutto e financo della dignità, ridotti dunque al rango di insetti privi di dignità, di diritti e calpestabili in ogni momento.