Prima abiurato, poi redento e portato in trionfo. Un destino quasi surreale per uno che ha teorizzato “la particella di Dio”. La storia di Peter Higgs è la storia di cosa significa “metodo scientifico”.
Ecco perché la sua morte ci prende in contropiede nonostante sia arrivata alla veneranda età di 94 anni. Andato via dopo una breve malattia, il fisico docente all’Università di Edimburgo ha fatto i conti con quasi cinquant’anni di attesa per vedere confermata la sua teoria sul “Bosone di Higgs“.
Anche chiamato “particella di Dio“, il Bosone di Higgs risponde a una delle domande più esistenziali che finora siamo riusciti a dimostrare: perché molte particelle elementari hanno una massa?
Se in un atomo ci fossero elettroni privi di massa, ad esempio, l’universo sarebbe molto diverso da come lo conosciamo. E’ a causa di questo che le stelle emettono luce, la causa per cui gli animali e gli esseri umani sono come li vediamo.
Si teorizza che all’inizio dell’universo la materia fosse priva di massa, e che le particelle elementari viaggiassero alla velocità della luce. Poi, circa 10−12 istanti dal Big Bang, ovvero un milionesimo di milionesimo dopo l’inizio dell’universo, il Bosone di Higgs sia stato la prima particella ad assumere massa, raffreddandosi a temperature incredibilmente elevate.
Solo nel 2012 il Cern di Ginevra è riuscito a riprodurre quelle stesse condizioni “risvegliando” il Bosone dopo miliardi di anni, e provando la risposta inseguita da una vita.
Una storia che racconta non solo un lieto fine, ma un mezzo, la scienza, che funziona così: confutando, provando tesi, discutendo.
L’editoriale di Fabio Duranti | Un Giorno Speciale 10 Aprile
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