Il 28 marzo il Rettore dell’Ateneo di Trento Flavio Deflorian ha ufficializzato l’utilizzo del femminile sovraesteso all’interno dell’Università. La nuova regola consiste nell’usare il femminile plurale per parlare di un gruppo di persone, e non il maschile. Non solo: la scelta include anche di declinare al femminile ogni titolo e carica professionale. L’obiettivo è empatizzare con il senso di esclusione provato dal genere femminile e lavorare per l’inclusività. “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone“ si legge nel Regolamento dell’Ateneo.
“L’uso del femminile sovraesteso è del tutto insensato” afferma il professor Massimo Arcangeli dell’Università di Cagliari, che ha lanciato una petizione su change.org per aprire un dibattito sull’argomento. “L’obiettivo è semplice: intavolare un dibattito per reagire agli opposti estremisti. In giugno organizzeremo un incontro alla Lumsa di Roma, durante il quale cercheremo di affrontare al meglio il tema dell’inclusione grammaticale“-
“Inizialmente feci la proposta al Rettore di Trento per cercare di capire se era possibile svolgere l’incontro li. Ma non mi ha mai risposto“.
Secondo Arcangeli per accogliere l’evoluzione della società che investe anche la lingua, la soluzione non è il femminile sovraesteso. La risoluzione del problema risiede nel lavorare sulle parole epicene, ovvero i sostantivi astratti che non hanno connotazione di genere. “È ovvio che è una soluzione tampone, ma evitano di affrontare di petto il problema”. Un esempio è la parola “persona” che è di genere femminile ma non indica né l’uomo né la donna. “Per cercare di accompagnare il cambiamento sociale si può lavorare sulle parole astratte. La lingua deve cercare di accompagnare le evoluzioni sociali, ma abbracciando il dibattito in modo serio”.
È importante adottare una politica linguistica che non abbiamo mai avuto in Italia, mentre invece altre nazioni come la Spagna, continuano ad avere. Il nostro difetto storico è che non ci siamo mai interessati pubblicamente della nostra lingua e questi sono anche gli effetti che vediamo“.