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Sport

Spiegare Cruijff? Ci vuole Dante

Quella volta che partecipò al “Mundialito”, per chi si ricorda la manifestazione, in campo passeggiava. Eppure, i giocatori del Milan, di cui occasionalmente vestì la maglia, dissero che grazie al modo in cui li guidò in campo avevano giocato bene come mai in passato.

Uno tra i mille, solo mille per modo di dire, aneddoti riguardanti la carriera, la vita e soprattutto la grandezza di Johan Cruijff, che a noi piace scrivere ancora con la grafica olandese, lasciando la ipsilon a chi ha meno rispetto dei dogmi. 
Perché, almeno da un certo punto di vista, è stato il più grande? Per spiegarlo non occorre cercare il termine di paragone nella monumentale sintesi tecnico-atletica di Pelé, o nella prestidigitazione calcistica dai tratti esoterici esibita da Diego Maradona. Per spiegarlo bisogna rivolgersi a…Dante. Non il giocatore del Nizza, ex Bayern Monaco, ma Dante Alighieri

Perché?

Perché per dire “soltanto” che Dante fu un poeta eccelso, sarebbero bastate le rime giovanili del periodo del Dolce Stilnovo. /Tanto gentile e tanto onesta pare…/. Serviva altro? Ma questo non sarebbe bastato a farci dire che la poesia, dalla fine dell’epoca classica, ha avuto un prima e un dopo rispetto a Dante. È servita la Commedia, nella quale ha espresso per via poetica tutte le sue conoscenze: astronomiche, astrologiche, bibliche, filosofiche. 

Allo stesso modo, nel calcio ci sono stati tanti grandissimi, irripetibili fuoriclasse, ognuno a suo modo; però quello di cui si può dire che ci sia stato un prima e un dopo rispetto alla sua carriera, è stato Johan Cruijff. Perché non è riassumibile, né raccontabile, soltanto attraverso la grandezza dei gesti tecnici che abbiamo imparato a memoria dai tanti filmati di repertorio. Con la maglia dell’Ajax, del Barcellona, del Feijenoord (sempre all’olandese) o di un’Olanda che, sotto il suo segno, fu essa stessa avanguardia.

Cruijff era un algoritmo di gioco vivente, sempre variabile e costantemente aggiornato; Ciò che di mirabile esibiva con i piedi era il riflesso, oltre che il compimento, di quello che aveva concepito in testa, con una visione tattica quasi euclidea, prima che l’azione emettesse il primo vagito del suo sviluppo. E, manco a dirlo, è stato filosofo, per come ha (ri)elaborato il ruolo del calciatore in una società che, anch’essa, stava vivendo un profondo stravolgimento dei costumi e del modo di essere. Le maglie arancioni della sua Olanda ne furono punteggiatura iconica. 
Chiudiamo con un paradosso, molto calzante con il senso del discorso: anche se non fosse stato il fuoriclasse inimitabile che ricordiamo, sarebbe comunque stato l’allenatore memorabile che abbiamo ammirato; così come Dante, seppure non avesse avuto in dono quel genio poetico, sarebbe comunque ricordato come un intellettuale che ha cambiato la sua epoca e segnato quelle successive. 

I geni, del resto, non muoiono mai

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

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