L’ennesima notizia di morte improvvisa irrompe sulle pagine di cronaca dei principali quotidiani italiani.
Questa volta avviene a Venezia, più precisamente ai piedi del Ponte di Calatrava, dove, in mezzo ai passanti, un 57enne informatore informatico si è accasciato a terra. A nulla sono serviti i soccorsi allertati dai presenti che hanno assistito alla scena, per l’uomo non c’è stato nulla da fare, è morto sul colpo.
La frequenza con cui assistiamo a notizie di questo tipo non dovrebbe lasciarci indifferenti, i dati sui decessi causati da malori improvvisi sono aumentati vertiginosamente. Insorge la necessità di vederci chiaro e non tralasciare alcun segnale preoccupante.
Secondo Giovanni Vanni Frajese, docente universitario e medico endocrinologo, bisognerebbe scavare a fondo, alla ricerca di una reale motivazione dietro la rapida ascesa di questo fenomeno: “Questo accadeva sicuramente anche prima, ma chiaramente i numeri con cui li stiamo vedendo adesso sono completamente diversi. Oggi ci sono dei paesi che tirano fuori i dati in maniera molto più trasparente, anche se mai completamente perché è difficile ancora da immaginare, come l’Inghilterra, in parte, e la Germania. Poi ci sono paesi come il nostro in cui ancora viene detto che non c’è l’eccesso di mortalità, che non c’è una crescita dei tumori, che non c’è un aumento delle patologie cardiovascolari e di queste cosiddette morti improvvise, che poi da morti improvvise sono state magicamente trasformate in malori improvvisi, quasi che la parola ‘morte’, come al solito, non debba comparire troppo, sennò chissà, qualcuno magari si spaventa, ma ‘malore improvviso’ che ti porta alla morte, che non è nemmeno una diagnosi medica. Lo abbiamo visto, basta che guardi quanti atleti in questo momento si stanno ritirando, per esempio, dagli Internazionali che faranno a Roma“
“Sì, succede tutti gli anni” continua Frajese “ma è mai successo che fossero così tanti? In realtà, i punti oscuri di questa storia sono tantissimi proprio perché fino adesso gran parte della scienza e soprattutto della comunicazione non vuole ancora oggi sapere qual è la verità e andare a vedere il danno che è stato fatto. Con tutte le menzogne che hanno detto, andrebbero dette le menzogne, una alla volta, e spiegata alla popolazione dove ci troviamo, quali sono i problemi e come uscirne, perché il vero problema è che da questa storia non ne usciremo fino a che non guardiamo la verità. C’è qualcosa che evidentemente sta continuando a fare il suo effetto e non sappiamo, per esempio, per quanto tempo c’è l’azione farmacologica di questi prodotti, perché questo non è mai stato studiato. A oggi sappiamo che sono minimo sei mesi in cui ancora si produce a produrre la spike, in realtà c’è tutto da scoprire e nessuna voglia di farlo. Prima o poi bisognerà che avremo il coraggio di farlo partire dal popolo, la ricerca che è necessaria, perché se aspettiamo che lo facciano le autorità, possiamo continuare ad aspettare“.