Sembra ormai un luogo comune: “Le multinazionali non pagano le tasse”. Sarà che a furia di ripeterlo, assume sempre più la forma del cliché. Il cliché però è spesso una convenzione che poi si rivela falsa, un pregiudizio che non trova riscontri con la realtà Il fatto che le big tech non paghino quanto dovrebbero è invece una realtà consolidata, ma non sembra che si voglia fare molto a riguardo.
Fior fior di ricerche sono state fatte sul gettito perso dai soli paesi europei dai guadagni delle multinazionali. E’ infatti molto facile per aziende che valgono quanto il PIL di uno Stato eludere la pressione fiscale delle nazioni più stringenti per migrare altrove; e il controsenso è servito.
Giusto in Olanda divenne uso comune in alcuni giornali dei paesi bassi appellarsi agli italiani come “pigs”, promuovendo lo stereotipo dell’italiano perennemente in vacanza e senza un lavoro. Quella stessa Olanda che è un paradiso fiscale e una delizia per molte grandi aziende che stabiliscono là la loro sede fiscale, producendo uno squilibrio finanziario alla luce del sole.
Ma il tema non è la competizione tra Stati, bensì la concorrenza sleale che queste multinazionali fanno alle piccole e medie imprese.
Solo nel 2022 in Europa il 35% dei profitti esteri delle multinazionali è finito in paradisi fiscali: prima portano i soldi altrove, poi ci fanno la morale.
Già, perché molte di queste big tech, soprattutto sul web, si prendono pure la briga di fare lezioni di democrazia e censurare testate giornalistiche regolarmente iscritte in tribunale.
“E’ su questo che il governo dovrebbe fare qualcosa“. Ascoltate l’editoriale di Fabio Duranti e Francesco Borgonovo.
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