Una Lazio passata alla storia quella di D’Amico, Frustalupi, Chinaglia, Martini, Re Cecconi.
Al timone c’era un genio, l’unico vero anello di congiunzione necessario a quella banda di folli, Tommaso Maestrelli. La stagione 1973-1974 rimarrà per sempre impressa negli annali del calcio e nella memoria di tutti i tifosi laziali. Di aneddoti e curiosità ce ne sarebbero mille, dalle lezioni di paracadutismo, alle pistole utilizzate per spegnere luci, passando per le guerre di spogliatoio. Quella squadra era bella per tanti motivi, tanto genio, tanta sregolatezza. Uno scudetto che passò nei cuori dei laziali come una stella cadente, tanta luce durata così poco.
Il fato non lasciò scampo a quegli undici che fecero sognare l’Italia intera: portò via troppo presto Maestrelli e successivamente anche Re Cecconi per una fortuita tragedia.
Gigi Martini, uno dei pilastri portanti di quella Lazio, ha ricordato ai microfoni di Radio Radio Lo Sport il suo amico e compagno di squadra Luciano Re Cecconi, raccontando la loro amicizia e il giorno della tragedia.
L’amicizia con Luciano Re Cecconi
“Se analizziamo attentamente la parola ‘amicizia’, essa racchiude tutto. Eravamo veri amici nel senso più autentico del termine. Quando uno di noi aveva bisogno dell’altro, sapevamo di poter contare reciprocamente. Sul campo, potevo eseguire le mie azioni perché sapevo che Luciano mi avrebbe coperto. Condividevamo la stessa camera da letto, e avevamo entrambi famiglia. Eravamo profondamente legati l’uno all’altro. Quando lui è scomparso in quel modo, inizialmente non sono riuscito nemmeno a sentire il dolore, perché lo rifiutavo. Poi, quando ho preso coscienza della sua mancanza, ho avvertito un vuoto così grande che ho capito che per me il calcio stava volgendo al termine“
Fu Gigi Martini a convincere Re Cecconi a fare paracadutismo?
“Quando dissi a Luciano che il giorno seguente avrei iniziato un corso di paracadutismo, mi rispose: ‘Tu sei proprio un pirla’, chiedo scusa per la parola, ma Luciano la usava spesso e rende l’idea. ‘Hai la testa buona, ma le gambe sane, vuoi rovinarti le gambe’.
Gli risposi: ‘Guarda Luciano, io domani vado’. Il giorno successivo, quando decisi di fare l’allenamento, mi avvicinai alla mia auto e lui era già dentro perché anch’io scrivo. Così, nella nostra amicizia, c’era una rivalità molto forte che affrontavamo ogni volta su ogni cosa.
Luciano non era così convinto di lanciarsi con un paracadute con un sacco sulle spalle, ma quando si aprì il portellone dell’aereo e mancava… l’istruttore disse ‘due minuti al lancio’, lui mi guardò e mi fece il segno con la testa ‘sei proprio scemo’, ed io gli risposi ‘andiamo sotto e poi giù, poi ne parliamo quando arriviamo a terra’. Questa è la vita, insomma, questa è la vita vissuta. Quando ci penso, ogni tanto, quando sono solo, mi aiuta a passare il tempo con stimoli emotivi che mi aiutano molto“
Il giorno della tragedia
“Avevo un appuntamento con lui a Fleming, il luogo dove ha avuto l’incidente che alla fine lo ha portato alla morte. Arrivai con 4 o 5 minuti di ritardo e c’erano 300 o 400 persone intorno a quella gioielleria.
Un amico mi vide con un altro amico in comune e mi disse: ‘Hanno sparato a Luciano e l’hanno portato adesso tre minuti fa a San Giacomo’. Corsi velocemente verso San Giacomo, arrivai e trovai il dottor Renato Ziaco, che mi prese per un braccio. Capì immediatamente che qualcosa di grave era accaduto e mi chiese se volevo vedere Luciano.
Gli risposi di sì e andai da lui. Lo trovai steso su un lettino. Il dottor Ziaco mi prese la mano e la fece poggiare vicino a un rene di Luciano, dicendomi: ‘È stato questo a ucciderlo’. Si sentiva il proiettile che non era uscito, ma era molto vicino al rene.
Spiegò che l’emorragia lo aveva ucciso, non il proiettile, poiché quest’ultimo aveva colpito la spina dorsale, era sceso giù e aveva causato un’emorragia così estesa da impedire al cuore di battere regolarmente. Queste erano le parole del dottor Ziaco, dette più per distrarmi che per spiegarmi dettagliatamente la situazione“