Cosa c’è dietro l’annuncio shock di Trump sul bombardamento a Cina e Russia

Ci siamo completamente giocati anche Donald Trump, il quale ha recentemente asserito che se fosse stato lui presidente avrebbe già bombardato sia la Cina sia la Russia. A onor del vero non ce ne stupiamo più di tanto. Ci paiono frasi che, per quanto assurde e surreali, sono perfettamente coerenti con il quadro generale del turbocapitalismo imperialistico e atlantista. Lo diciamo da anni senza tregua. Trump è, alla stregua di Biden o della Clinton, espressione della plutocrazia neoliberale e imperialistica della civiltà del hamburger. i cui presupposti fondamentali sono il turbocapitalismo o neoliberismo assoluto e l’imperialismo dei bombardamenti etici e dei missili democratici. Se Biden e la Clinton rispecchiano appieno queste istanze, ebbene Trump non è da meno.

Per quel che concerne il turbocapitalismo, nel 2017, come tutti sanno o come tutti dovrebbero sapere, Trump deregolamentò la finanza e fece un immenso dono ai padroni apolidi di Wall Street, o meglio sarebbe dire War Street. né mai Trump nascose il proprio odio conclamato verso il socialismo in ogni sua figura possibile. Per quel che concerne l’imperialismo, l’ultima dichiarazione di Trump in relazione ai necessari bombardamenti contro Russia e Cina è di chiarezza adamantina e non lascia davvero alcun dubbio rispetto l’animo imperialistico di Donald Trump. Tra l’altro non sfugga neppure la menzione della Cina, che peraltro è la realtà che più si sta adoperando in questo momento per promuovere la pace nel tumultuoso clima bellico che sta dilagando.

La Cina, per Trump, andrebbe bombardata tanto quanto la Russia. Ciò rivela limpidamente, e Trump l’ha solo espresso in forma particolarmente franca e volgare, come dopo la Russia, il prossimo obiettivo dell’imperialismo umanitario e della guerra intelligente di Washington sarà la Cina. Essa è colpevole di essere una potenza economica e di non genuflettersi alla civiltà del dollaro e alla sua libido dominandi su scala cosmopolitica. Sarebbe interessante ora vedere la faccia dei tanti che per anni hanno ripetuto lo stolto ritornello «Trump è la sola salvezza», magari anche nella sua variante messianica «Trump è il redentore». Ne conosco personalmente molti, alcuni dei quali, in modo particolarmente ottuso e volgare, sostenevano che Trump si sarebbe presto o tardi alleato con Putin per contrastare i cosiddetti globalisti, categoria non meglio definita che va goffamente a sostituire quella del capitalismo imperialistico. Parafrasando in questo caso il mio maestro Costanzo Preve, la Trump-mania di numerosi sedicenti antisistema risulta una volta di più una sorta di wishful thinking, ossia una forma di subordinazione e di interiorizzazione della collocazione fintamente dissidente nell’impero americano. Come a dire, vorremmo un imperatore buono e non cattivo, vorremmo Traiano Trump e non Nerone Biden.

La Trump-mania non è una riflessione dialettica sui nessi tra l’Europa e la civiltà stelle strisce, cioè tra la colonia e l’impero; è invece, oggi più che mai, semplicemente la forma di interiorizzazione della subalternità. La forma di chi appunto preferisce un imperatore buono senza mai mettere in discussione il proprio ruolo di suddito dell’impero. Ma anche l’idea che Trump sia un imperatore buono, oggi, è crollata definitivamente.