Dopo 12 anni di battaglia legale sta per terminare con un patteggiamento il calvario di Julian Assange.
“Assange è libero”, scrive WikiLeaks. “Ha lasciato il carcere di massima sicurezza di Belmarsh la mattina del 24 giugno, dopo avervi trascorso 1.901 giorni”. Fine di una storia che è stata la pietra miliare nella battaglia per la libertà di informazione. Così si chiude un processo dal retrogusto di persecuzione da parte degli Stati Uniti per la divulgazione, da parte del giornalista, di migliaia di documenti riservati, alcuni dei quali prove di crimini dell’esercito statunitense in Afghanistan e Iraq. Assange è già a piede libero, in viaggio per l’Australia nonostante nell’accordo con la giustizia americana sia stato stabilito che i procuratori chiederanno una condanna a 62 mesi.
E’ questo il tempo trascorso da Assange nel carcere a Londra, noto come la Guantanamo inglese. Ora l’attivista sarà atteso a processo domani sull’isola di Saipan, nelle Marianne Settentrionali. E’ in tale sede che formalmente dovrebbe ammettere la sua colpevolezza come da accordi con i pubblici ministeri americani.
Qui il punto critico di chi gioisce, ma non troppo: “Assange è libero, l’informazione no”, esordisce Alessandro Di Battista sui suoi profili.
“Ci vedo un risvolto di carattere politico”, dice il presidente di Nazione Futura Francesco Giubilei da Borgonovo. “Il caso Assange ha toccato gran parte dell’opinione pubblica americana, quindi in vista delle prossime presidenziali può essere utilizzato dall’amministrazione Biden come un risultato ottenuto per parlare a una parte dell’elettorato“.
Ma non si tratta di un input del governo USA, secondo l’analista economico Piercamillo Falasca: “La giustizia americana è molto meno indipendente dalla politica di quanto non lo sia quella europea. Hanno anche delle cariche elettive in magistratura, però non c’è una stanza dei bottoni in cui il presidente tira delle leve e la giustizia risponde“.
Dunque spot elettorale o no? “Certamente c’è un’influenza politica evidente nelle decisioni dei giudici. Anche in questo caso c’è la volontà di accantonare una questione problematica per gli USA, con cui diversi governi occidentali non erano d’accordo su Assange. Credo che ci sia stata una valutazione non di Biden o dell’amministrazione, ma della giustizia americana che risponde a incentivi della politica interna“.
Ascoltate il dibattito da Francesco Borgonovo | Punto & Accapo, 25 giugno 2024
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