“Noi non abbiamo bisogno di una Commissione europea, di una Corte europea: noi adoriamo l’Europa, ma odiamo la UE e spero che questo sia l’inizio della fine di questo progetto anti democratico, che non dà conto di nulla all’elettorato”.
A pronunciare queste parole qualche giorno prima dell’ufficiale compimento della Brexit (31 gennaio 2020) è Nigel Farage, leader del Brexit Party o anche Reform UK. Il suo discorso d’addio fu storico: decretò quanto la maggioranza del popolo inglese aveva messo per iscritto nel referendum per l’uscita dall’UE. Il “Leave” vinse sul “Remain”, e a dire il vero neanche di molto (51,9%, contro il 48,1%).
Tuttavia in Gran Bretagna il sentimento euroscettico non era certo una novità.
Gli inglesi ragionavano sulla propria sovranità da molto tempo: dal 1975, l’anno del referendum sulla permanenza nella Comunità Economica Europea, vinto in quel caso dal “rimanere”. Dall’inizio del nuovo millennio, però, quel sentimento aveva cominciato a farsi sentire più forte.
L’euroscetticismo aveva cominciato a trovare voce in pochi politici. Poi in molti.
E lo aveva fatto con la nascita di un nuovo partito: il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, sbocciato nel ’93 e portato avanti nientedimeno che da Farage stesso dal 2006 al 2016, gli anni più decisivi per la Brexit. Il referendum fu proposto da Cameron dei Conservatori: lui contrario insieme a una parte del partito, ma che aveva necessità di usare la minaccia del referendum per accordarsi politicamente con l’Europa su alcune questioni. Una promessa è però una promessa – lo aveva messo sul programma – e il referendum è fatto e concluso. Cruciale fu però il ruolo nella campagna contro l’Europa di Farage e compagnia indipendente.
Vita facile grazie all’affluenza? Niente affatto.
Il percorso si concluderà con un comune denominatore.
Il lettore si aspetterà a questo punto che il movimento euroscettico abbia avuto vita facile grazie all’affluenza. Niente di più sbagliato.
Alle elezioni europee tra il 2004 e il 2019 l’affluenza britannica oscillò tra il 35-38% circa.
Il “non voto” avrà “delegittimato” l’Unione Europea e gli inglesi hanno ottenuto ciò che volevano?
Un piccolo dettaglio smentisce questa ipotesi.
Il Partito per l’Indipendenza cominciò a scavalcare compagini su compagini alle elezioni europee.
Terzo posto alle europee del 2004, secondo a quelle del 2009 e finalmente primo alle europee del 2014.
Alle nazionali del 2015 Farage arrivò terzo dietro ai Laburisti, secondi, e ai Conservatori, primi, che avevano promesso il referendum sulla Brexit. Alle europee del 2019, le ultime del Regno Unito, Farage si ripresenta con Reform UK e arriva primo con il 30% e 11 punti percentuali di differenza con la seconda. Una tenace e continua presenza dell’euroscetticismo, rappresentata politicamente, dichiarata esplicitamente e supportata dal popolo – nonostante la bassa affluenza – porterà Farage a fare quel famoso e conclusivo discorso in aula a Bruxelles, in cui le bandiere a sventolare furono quelle della Union Jack e non quelle con le 12 stelle.