Putin è sempre più isolato a causa dell’offensiva verso l’Ucraina e tenta di porre rimedio volando qua e là alla ricerca e/o riconferma di alleanze strategiche. Dopo essere stato nella Corea del Nord di Kim Jong-un, il 20 giugno atterra in Vietnam, ad Hanoi, per incontrare Nguyễn Phú Trọng e rafforzare accordi commerciali e militari con il Paese asiatico. La prima visita del presidente russo risale al 2017 e ad oggi ne contiamo cinque.
La Russia è sempre stata un partner strategico per la capitale vietnamita nonché importante fornitore di armi. Ricordiamo infatti la cooperazione da parte dell’Unione Sovietica per la liberazione del sud e il contributo dato alla formazione del partito comunista vietnamita.
Lo stesso Vietnam attualmente sta sviluppando rapporti diplomatici con Stati Uniti e Cina. Entrambi hanno visitato il Paese asiatico nei mesi precedenti a Putin.

Ma com’è possibile una convergenza di incontri con Russia da un lato e USA/Cina dall’altro? Ebbene, la politica estera vietnamita si basa sul multilateralismo e sulla flessibilità associati a punti fermi solidi e strutturati. E infatti da qui nasce l’espressione ‘diplomazia del bambù’ proprio perché metaforicamente parlando il modus operandi somiglia a ‘un cespuglio di bambù’. Formula utilizzata già in passato dalla Thailandia all’epoca in cui dovette destreggiarsi tra Impero francese e britannico.
Il Vietnam è perciò amico dell’Occidente senza voltare le spalle ad accordi commerciali con la Russia e, oltretutto, rimanendo in contatto (e allo stesso tempo in soggezione) con la Cina.

Dottrine militari

Sulla carta però la dottrina militare vietnamita ha sempre evidenziato una serie di negazioni mai rispettate. Ci riferiamo ad alleanze militari, all’ospitare attività o basi militari straniere sul suolo, allo schierarsi con un paese contro un altro e l’ennesima negazione all’uso della forza nelle relazioni internazionali. In realtà, già se si pensa alla riconferma degli accordi presi con Putin va da sé che questi principi fissati vadano a perdersi nella dinamica di un’ampia scacchiera geopolitica, nella quale parte dell’Asia diviene ad oggi un punto nevralgico.

Dalla negazione si passa perciò a valutare ‘lusinghe’ da parte di USA e Cina, entrambe in competizione per avere maggior influenza nelle regioni del Pacifico. Lo stesso Vietnam, essendo uno Stato comunista a partito unico, condivide con Pechino ideologie, metodi governativi autoritari e il medesimo interesse nelle rivendicazioni del Mar Cinese meridionale.
Possiamo evidenziare quindi come gli USA vedano il Vietnam come un veicolo di apertura alle nuove vie della globalizzazione, e come la Cina lo identifichi invece come partner ideologico (seppur, appunto, le contese del Mar Cinese). Come dire: a ognuno la sua parte.

Reazioni a catena

Ma come reagiscono i paesi coinvolti a fronte di questa multipolarità vietnamita? Prendiamo l’esempio di Washington: nonostante il disappunto mostrato verso il recente incontro tra Putin e Nguyễn Phú Trọng, per non rimanere ai margini della scacchiera non ha contrastato la visita ufficiale in Asia di Daniel Kritenbrink (assistente del segretario di Stato statunitense per gli affari dell’Asia Orientale e del Pacifico).
Fabio Figiaconi del Csds di Bruxelles evidenzia a tal proposito che “Ospitare un alto funzionario statunitense poco dopo aver accolto Putin dimostra che in questo momento il Vietnam sta muovendo la cosiddetta ‘diplomazia del bambù’ on steroids, quasi avendo percepito che il Paese ha una sua standing, ossia una sua peculiarità e capacità di essere speciale e in qualche modo indispensabile“.

Il Vietnam diviene perciò sede di una struttura complessa che accoglie influenze e accordi da parte di Russia, Usa, Cina (e anche UE).
A primo impatto sembrerebbe essere manovrato dalle potenze mondiali ma, di fatto, è lui stesso il burattinaio geopolitico del momento.