Nel 1983, Enzo Tortora fu arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico e traffico internazionale di stupefacenti. Le accuse si basavano principalmente sulle dichiarazioni di alcuni pentiti, che sostenevano di averlo visto in compagnia di esponenti della criminalità organizzata. L’arresto di Tortora suscitò un enorme clamore mediatico, un beniamino del pubblico televisivo finiva in manette davanti a tutta Italia. Nonostante avesse proclamato la sua innocenza a gran voce per tutta la durata del processo, nel 1985 Tortora fu condannato in primo grado a dieci anni di carcere. Questo processo divenne emblema delle falle del sistema giudiziario italiano, segnato da errori e da un eccessivo affidamento alle testimonianze dei pentiti.
Nel 1986, Tortora fu eletto al Parlamento Europeo, continuando a combattere per dimostrare la sua innocenza. La svolta arrivò nel 1987, quando la Corte d’Appello di Napoli lo assolse con formula piena, evidenziando la mancanza di prove concrete e l’inattendibilità delle testimonianze accusatorie. La vicenda di Enzo Tortora ebbe un impatto profondo sull’opinione pubblica, stimolando una riflessione critica sulla giustizia in Italia. Tortora tornò in televisione, ma la sua salute era ormai compromessa. Morì nel 1988, a 59 anni, lasciando un’eredità di lotta per i diritti civili e per una giustizia più equa e trasparente.
Il caso Tortora è rimasto nella memoria collettiva come una delle più grandi ingiustizie della storia del sistema penale italiano, contribuendo a promuovere riforme e rafforzando l’importanza della presunzione di innocenza e delle garanzie processuali.
Ne abbiamo parlato ai microfoni di Lavori in Corso con Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora, che ha raccontato la tragedia umana di quel caso giudiziario che sconvolse l’Italia degli anni 80.