Gaza e i piani di Biden per il cessate il fuoco: propaganda politica made in USA o si fa sul serio?

Gaza: Joe Biden ha proposto un cessate il fuoco e un’accelerazione sull’ingresso di aiuti umanitari. Due negoziati, non poco controversi e di facile risoluzione ma la trattativa attualmente è in via di sviluppo: Hamas accetta la proposta, il primo ministro israeliano Netanyahu apre al dialogo dichiarando la tregua “temporanea per liberare gli ostaggi”, rafforzando comunque l’idea di non voler interrompere la guerra.
Al Consiglio privato ha dichiarato infatti (se non riconfermato ulteriormente) che l’intenzione rimane tale: “la distruzione effettiva di Hamas”.
La posizione egiziana, al polo opposto, è invece quella di “respingere la presenza israeliana sul lato palestinese del valico di Rafah, sulla base della soluzione dei due Stati e della creazione di uno Stato palestinese ai confini del 1967 con Gerusalemme-Est come capitale“, così evidenzia il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry.

L’estrema destra israeliana contrasta la decisione del Premier minacciando l’uscita dal Governo, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir minacciano le dimissioni qualora Netanyahu dovesse accettare il definitivo cessate il fuoco avanzato da Joe Biden.
I partiti dei due estremisti si identificano rispettivamente in Sionismo Religioso e Potere ebraico e, occupando la maggioranza ben 14 seggi, avrebbero il potere di far cadere Netanyahu alla Knesset (parlamento israeliano), di contro sembrano però emergere alcuni partiti disposti a spalleggiarlo nel caso in cui dovesse accettare in toto le proposte made Usa.

Il piano proposto da Biden è suddiviso in tre fasi:
1. Sei settimane di cessate il fuoco e rilascio di tutti gli ostaggi
2. ‘Cessazione definitiva delle ostilità’
3. Ricostruzione di Gaza.

Da Washington arriva all’Onu la bozza di risoluzione per la prima fase. Favore anche da parte dell’Unione Europea che vede il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Gueterres e la presidente della Commissione europea, Usrula von der Leyen, rilanciare positivamente il piano. Sul fronte Usa Antony Blinken (Segretario di Stato) rincara la dose evidenziando in teleconferenza con il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant la necessità di trovare un accordo tra le parti in causa. A tal proposito Matthew Miller, il portavoce Usa, cita che “Blinken ha accolto con favore la volontà di Israele di raggiungere un accordo e ha affermato che spetta ad Hamas accettarlo”. Al Times of Israel si espone in tal senso: “Nel quadro di qualsiasi processo di sviluppo, Gallant ha sottolineato l’impegno di Israele a smantellare Hamas come autorità governativa e militare. A questo proposito, ha discusso la questione di identificare e consentire l’emergere di un’alternativa di governo locale”.

Non cessano però le tensioni tra Cairo e Tel Aviv, altri raid provocano vittime tra gli sfollati in loco a Khan Yunis e Rafah.
Nella giornata di oggi altri sei morti nella Striscia e due in Cisgiordania. Si legge su Al Jazeera il commento dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk: “La distruzione e le violazioni dei diritti umani in Cisgiordania sono inaccettabili e devono cessare immediatamente. L’impunità in Cisgiordania ha creato un ambiente favorevole a ulteriori uccisioni illegali per mano delle forze israeliane, che vengano accertate le responsabilità”. Sempre da Al Jazeera si legge “raid israeliano, uccisi almeno 7 palestinesi a Gaza”.
I negoziati necessitano perciò di prendere forma nell’immediato.
Perfino i leader del G7 sostengono Biden, in un appunto si legge: “come leader, approviamo pienamente e sosterremo l’accordo complessivo delineato dal presidente Biden che porterebbe a un cessate il fuoco immediato a Gaza, al rilascio di tutti gli ostaggi, a un forte e significativo aumento dell’assistenza umanitaria da distribuire a Gaza e una fine duratura della crisi, assicurando gli interessi di sicurezza di Israele e la sicurezza dei civili di Gaza. Riaffermiamo il nostro sostegno a un percorso credibile verso la pace che conduca a una soluzione dei due Stati”.

Il Medio Oriente esteso ormai da tempo è disseminato da guerre civili e bombardamenti a oltranza. Si pensi al Bangladesh, alla Siria o anche Iran, Afghanistan, Pakistan. La storia della Striscia di Gaza rimane la più controversa: avendo origini secolari, l’intero territorio è stato sempre rivendicato dai palestinesi, assieme a Cisgiordania e Gerusalemme Est. Dal 1967 al 2005 è stata occupata militarmente da Israele per poi passare sotto il controllo dell’Autorità nazionale Palestinese e dal 2007 direttamente da Hamas (che sottolineiamo essere un’organizzazione terroristica a tutto tondo) di fatto oggi staccato politicamente dalla Cisgiordania.
La storia politica di Gaza è controversa e delicata, sarebbe riduttivo solo farne un elenco di guerre e governi succeduti ma la cosa certa e sconvolgente rimane però la stessa: le condizioni in cui vive il popolo (elevatissimo rispetto alla dimensione del territorio) e tutte le vicissitudini a cui è stato sottoposto nel tempo. Pensiamo in primo luogo al ciclico embargo da parte di Israele che, generando un ‘filo spinato’ attorno alla Striscia ha fatto sì che dall’Human Rights Watch il luogo venisse addirittura rinominato come ‘prigione a cielo aperto’. Secondo l’Onu, il 60% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. In poche parole, la Striscia di Gaza è una regione costiera che ospita ben due milioni di palestinesi in 365 km2 senza possibilità alcuna di poter fuggire se non tramite la morte.
L’interesse mondiale per la causa perciò ha origini antichissime a fronte di tali controversie e continue violazione di diritti umani, a cui si aggiunge un interesse economico data la posizione confinante con Egitto, Israele e una costa che si affaccia sul Mar Mediterraneo.

C’è da chiedersi però una semplice domanda: cosa spinge Joe Biden a premere così tanto sul cessate il fuoco definitivo?

Gli Stati Uniti hanno sempre avuto relazioni bilaterali con Israele, sostenendolo e costruendo legami politici e bellici molto forti con lo stesso. Non sarà forse che, in vista delle elezioni presidenziali, il Presidente Usa faccia tutto ciò in primo luogo per accogliere più consensi popolari possibili in nome del ‘peace and love’ e non per una volontà concreta di far cessare la guerra? Staremo a vedere.