Satnam Singh, se questo è un uomo

È diventato un hashtag, subito in tendenza e in modo crescente, senza mai essere stato, in precedenza, considerato come individuo. Anche citarne il nome, ora, suona come una beffa atroce, visto che per essere identificati attraverso delle generalità bisogna essere considerati con la soglia minima di dignità che dovrebbe spettare a ogni essere umano. Dignità e riconoscibilità, ci viene da aggiungere. Non ne aveva, perché la sua paga oraria e le condizioni nelle quali veniva scelto e tenuto a lavorare per una giornata intera nelle campagne di Latina non gli facevano raggiungere nemmeno quella soglia.

In realtà nemmeno scelto: veniva adoperato laddove avrebbero potuto adoperare un altro a caso, connotato dalla stessa soglia di insufficiente dignità. Come il pezzo di una macchina, che quando si rompe va sostituito. Lui che aveva perso un braccio anche rottamato, come si dice da qualche tempo: dai suoi schiavisti che forse non si rendono nemmeno conto di essere tali nella propria ottusità di cercatori di profitto; dalla cronaca che dopo le grida giornalistiche di questi giorni lo sostituirà anch’essa con altri “pezzi” più utili e più attuali; dai discorsi dei politici di governo e d’opposizione, che troveranno altre bandierine per le loro schermaglie da Risiko; infine, dalla Storia, perché quelli come Satnam Singh – è così che si chiamava -, agli occhi del mondo così come continuiamo a farcelo andar bene, non meritano nemmeno di entrare nella dialettica di chi può rivendicare dei diritti.

Spiegateci, allora, qual è la differenza tra uno come lui, moltiplicato per le centinaia di migliaia che vediamo con la schiena piegata sotto il sole quando percorriamo autostrade e strade statali che ci portano in vacanza, e l’uomo che tale non era più di Primo Levi, quello che moriva per un sì o per un no, che avrebbe ucciso per mezzo pane. Quello che non aveva più un nome ma un numero di matricola sul braccio, quel braccio che qualcun altro può perdere mentre i caporali si girano dall’altra parte. Noi, questa differenza, non la vediamo.

Paolo Marcacci, 20 giugno 2024