Joe Biden dà il forfait. La candidata numero 1 a sostituirlo per la battaglia elettorale negli Stati Uniti è la sua attuale vice Kamala Harris: una mossa che sposta gli equilibri, ma esattamente di quanto dopo l’attentato ai danni dell’avversario repubblicano Donald Trump?
Lo abbiamo chiesto al prof. Paolo Becchi, filosofo ed editorialista.
Quello che tutti si sono chiesti è: perché solo adesso?
Mah, hanno aspettato, hanno provato a fargli fare questa sorta di incontro televisivo con Trump molto prima delle elezioni, gli hanno dato questa possibilità e tutti hanno potuto verificare che in sostanza effettivamente qualche problema di invecchiamento, possiamo dire così, Biden ce l’aveva. A quel punto i giochi erano fatti, in sostanza non è facile far dimettere un Presidente. Un Presidente che tra l’altro aveva deciso già di ricandidarsi, quindi hanno dovuto studiare le cose con calma e mettere l’opinione pubblica, soprattutto quella americana, di fronte all’evidenza.
Insomma, quando tutti abbiamo sentito che Biden farfugliava delle cose, che non si capiva bene che cosa stesse dicendo, era del tutto evidente che c’era qualcosa che non andava proprio nella testa di Biden. A quel punto è assodato che la partita è persa, quindi lo lasciamo andare allo scontro. In seguito probabilmente, meditando sul fatto che la vittoria di Trump non era scontata, hanno pensato: a questo punto possiamo reagire, quindi lo sostituiamo.
Nel frattempo c’è stato anche l’attentato scampato a Trump, e qui teniamo presente una cosa: l’attentato è avvenuto a mesi di distanza dalle prossime elezioni, non dico che il pubblico dimentichi una cosa del genere, ma sicuramente le elezioni non sono dietro l’angolo, penso che ce ne passi di tempo insomma. Io credo che a questo punto i democratici abbiano pensato che la cosa migliore era fare pressing e ci sono riusciti, ora vedremo che cosa succederà alla convention che ci sarà ad agosto, se verrà confermata – come io credo – Kamala Harris, perché tutti dicono che questo è un candidato debole, che non ce la può fare con Trump. Sicuramente sarà molto difficile per lei, qualsiasi candidato al momento attuale avrebbe delle difficoltà, però è una donna, è di colore… insomma, sono tutti elementi che diventeranno, a mio avviso, decisivi nella campagna elettorale. Gli Stati Uniti non hanno mai avuto una donna presidente, ci hanno provato fallendo con la Clinton, un presidente nero di colore l’hanno già avuto ma una donna addirittura di origini asiatiche, la donna che rappresenta il globalismo, contro un uomo che invece vuole rappresentare tutto esattamente il contrario sarà uno scontro interessante. Qualcuno dice già vinto da Trump, ma da qui a novembre ce ne passa.
Pensa che verrà enfatizzato lo status di donna di colore della Harris come chiave di propaganda elettorale?
Io credo di sì, credo che l’ideologia che muove la Harris abbia una notevole influenza negli Stati Uniti ed è su questo che lei punterà… poi teniamo presente una cosa: ha dietro tutta la struttura già preparata per Biden, si diceva “non arrivano più i finanziamenti”, ma i finanziamenti due giorni dopo sono di nuovo ripresi senza dover fare niente di nuovo, perché? Perché i due lavoravano in coppia, Harris rappresenta la continuità di Biden. Io credo che la convention di agosto alla fine darà l’incarico a Kamala Harris e da qui a novembre vedremo quello che succederà.
Sicuramente la Harris avrà dietro tutta l’impalcatura del partito, in fondo è uno scontro tra un partito e un movimento, perché in realtà non si può dire che Trump sia l’espressione del Partito Repubblicano.
Forse la principale differenza rispetto a Trump è sugli esteri, e non possiamo non pensare all’Ucraina: Harris è stata davvero molto dura su Putin, ma in generale sulla guerra, anche più di Biden. Pensa che le probabilità di escalation aumenterebbero con una sua vittoria?
Su quello credo ci sia una continuità totale con Biden. Lei poteva essere più dura perché non aveva ancora il ruolo ufficiale che ha Biden, è chiaro che prendendolo dovrà un po’ moderare i toni, ma non cambierebbe assolutamente niente nella linea che riguarda la guerra in Ucraina. Perché ci sarebbe, ripeto, una continuità. Biden ora viene reputato un rincoglionito, ma non dimenticate che ha avuto in passato un ruolo importante nel Partito Democratico, non era l’ultimo degli arrivati nel periodo di Obama, non sottovalutiamo questa persona ora perché purtroppo gli anni, le malattie, e anche la vita familiare che ha avuto, l’hanno un po’ portato nella condizione in cui è, però ha aspettato e quando si è reso conto, ha agito anche abbastanza razionalmente, sapendo che potevano esserci effettivamente altri candidati coi quali a livello internazionale non cambierebbe nulla rispetto a ora.
Con Trump invece sicuramente la prima mossa sarebbe un disimpegno degli Stati Uniti d’America in Ucraina, lasciando la patata bollente all’Europa. Questo significa che questi mesi saranno ancora tribolati per l’Europa e per la guerra in Ucraina, perché sicuramente si continuerà così, non ci sarà un’escalation, la Russia continuerà ad avanzare, però prospettive di pace e di negoziazione non ce ne saranno. Bisogna aspettare novembre.
Gli Stati Uniti però sorprendono sempre…
Esatto ma escluderei un nuovo attentato come escluderei nuove elezioni truccate.
Sicuramente questa diventa una partita che sembrava già vinta a tavolino 2 a 0 da Trump, invece no. E’ una partita che è ancora aperta e se la dovrà giocare.
E lo scontro insisterà su questo chiaramente. La donna che non è mai stata presidente e adesso toccherà a lei contro il maschio cattivo, il maschio che ha avuto certi rapporti con le donne e via discorrendo.
La campagna elettorale in America sarà su questi elementi, più di costume, se vogliamo. E sul piano internazionale non si farà altro che continuare la linea indicata da Biden. Teniamo presente che lì c’è veramente una struttura di partito dietro. Possono cambiare le persone, ma la linea sostanzialmente non cambia.
Nel caso della Harris non cambierebbe niente, se ci fosse qualche altro sostituto potrebbe cambiare qualche cosa, ma mi sembra che ormai Biden abbia aspettato e ha fatto la mossa accorta, ha subito detto “io passo il testimone” alla sua vice. Come del resto è un po’ anche nella natura delle cose. Non ha fatto niente di eccezionale.
Diciamo che se n’è andato in maniera molto pragmatica, capendo che ormai non c’era più niente da fare.
Sulla vicenda Microsoft
Oggi i giornali dicono in Italia che è ritornato il virus, la Covid e via discorrendo, però sarà molto difficile per gli italiani dopo quattro anni andare a dire, dopo la vaccinazione forzata, che si continua. E allora bisogna trovare qualcosa di nuovo, e credo che virus informatici, virus che possano creare dei danni alla rete globale possano essere presi in considerazione. Quindi ho letto quell’episodio che è avvenuto come magari fosse un tentativo di prova.
La nuova pubblicazione
Il mio libro “Emergenze e Controlli”, che è uscito oggi, tratta il problema fondamentale di come il mondo sia cambiato e come siamo entrati in una nuova società, che è la società del controllo, che supera le società dei consumi individuata da Foucault.
E’ un libro a cui dedico una riflessione perché secondo me il vaccino è stato proprio questo, cioè se vuoi uscire ti devi vaccinare. Non era più lo stare chiuso dentro, l’emergenza, la chiusura, il lockdown, ma le condizioni per poter uscire, eri condizionato a sottometterti ad un certo tipo di controllo, in questo caso un controllo sanitario. E’ un po’ questa è l’idea del libro: tutti parlano ancora di società dei consumi, la società dei consumi è finita, stiamo andando verso la società della carestia, della povertà, questo sarà il futuro. Grandi ricchezze per sempre più pochi e povertà estrema per sempre più tanti.