Kubrick, il genio che previde un’intelligenza artificiale a noi sconosciuta

    Gli anni sessanta e settanta del novecento sono illuminati da film importanti che contribuiscono, insieme a tutte le arti e la cultura in genere, a creare i presupposti verso un nuovo concetto di modernizzazione.

    Inizia la corsa verso un futuro imprevedibile ma ricco di sorprese. Il cinema, la letteratura e la pittura ne scandagliano gli aspetti più oscuri mentre l’architettura ne esalta altri più interessanti.

    Vivo quegli anni da giovane appassionato di fumetti e fantascienza nonostante siano considerati un sotto genere rispetto alla cultura classica. Non a caso anche nell’America liberale i film fantastici sono classificati spesso come “B Movies”.

    I fumetti vivono in un mondo parallelo, ma come dice Carlo Lucarelli. “Questa è un’altra storia”.

    Scrittori come Isaac Asimov, Philip K. Dick e Arthur C. Clarke. Registi come Roger Corman, Don Siegel e Robert Wise solo per citarne alcuni, contribuiscono a creare un genere che da lì a trent’anni cambia perfino l’industria di Hollywood.

    Ma c’è un film che più di tutti traccia uno spartiacque, un prima e un dopo e proietta nell’immaginario collettivo un’idea di futuro. Questo film è “2001 Odissea nello Spazio”. Scritto, diretto e prodotto da un maestro del cinema: Stanley Kubrick.

    Le mie osservazioni nascono dall’esigenza di rivedere ogni anno il capolavoro di Kubrick, scoprendo a ogni visione un nuovo particolare o un dettaglio nascosto. Non sono uno spettatore distratto, ma il film è un’opera in divenire, un viaggio che si sviluppa nel tempo. Un’Odissea iniziata sessant’anni fa e non ancora conclusa.

    Scritto a due mani con Arthur C. Clarke, uomo di scienza che contribuisce a ipotizzare l’orbita geostazionaria dei satelliti. In suo onore si chiama “Fascia di Clarke”, “2001: A Space Odyssay” è l’ottavo film del cineasta di New York. Una lavorazione che inizia nel 1965 e che vede la luce a metà del 1968 conquistando, nonostante le diverse candidature, un solo Oscar nel 1969 per gli effetti speciali, supervisionati dal regista insieme al maestro Douglas Trumbull e ad altri professionisti. Effetti visivi e tecniche di ripresa che contaminano per sempre il cinema di fantascienza e non solo.  

    Il film si compone di quattro parti che coprono un arco temporale che va dalla preistoria al 2001 D.C.. Un condensato di significati, di domande. Chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando? Kubrick e Clarke ipotizzano che questo percorso è indicato da un’intelligenza che viene da molto lontano, attraverso un monolite apparso agli uomini primitivi e dopo milioni d’anni trovato sulla Luna, sepolto nel cratere Clavius, vicino alla base internazionale costruita dall’uomo. Inizia così un viaggio spazio temporale verso una nuova Genesi che apre un portale per la nascita dell’uomo del nuovo millennio. Con una sceneggiatura dai dialoghi appena accennati – in due delle quattro parti non ce ne sono – il regista utilizza principalmente un linguaggio visivo accompagnato da una musica straordinaria, epica. Kubrick proietta, non a caso, gli spartiti composti da Johann Strauss Jr. del valzer “Sul bel Danubio blu” e le note tuonanti di “Così parlò Zarathustra” nello spazio profondo fino ai confini del nostro sistema solare. La direzione di Herbert Von Karajan ne sigilla la perfezione.

    Questo viaggio che inizia all’alba dell’uomo, essere che si accende intellettualmente al contatto con il monolite extraterrestre e prosegue con il famoso salto temporale del lancio dell’osso da parte dell’uomo primitivo fino alle lune di Giove, dove il capitano David Bowman e l’astronauta Frank Poole seguono a bordo della nave Discovery i segnali radio emessi dal monolite lunare, ha una presenza importante: HAL 9000 il supercomputer perfetto. La guida che gestisce l’intero veicolo spaziale. Un cervello meccanico che supera la definizione di Intelligenza Artificiale.

    La sua periferica è visualizzata con una sorta di obiettivo fotografico, un vero occhio osservatore, concetto molto simile alle telecamere montate sui computer di oggi e comunica con una voce umana, (non posso non pensare ad Amazon Alexa).

    Kubrick inserisce con sapiente manierismo e “tecno-veggenza” l’elemento computer che con curiosità ed eleganza dialoga con l’equipaggio e ne gestisce tutte le attività. Compresa quella di monitorare i tre scienziati ibernati che accompagnano l’equipaggio.

    HAL 9000, acronimo di “Heuristic ALgorithmic (“algoritmo euristico“) ha una voce suadente, una conoscenza illimitata ed è consapevole del proprio sapere, quasi voglia gareggiare con l’intelligenza e la preparazione degli astronauti. Il viaggio nello spazio, verso l’ignoto, sulle tracce del segnale alieno prende una brutta piega quando HAL 9000 impazzisce ed elimina Frak Poole e i colleghi ibernati. Fortunatamente David Bowman riesce con uno stratagemma a scollegare la memoria principale del computer e a continuare il suo viaggio dove lo spazio e il tempo si fondono in un futuro inaspettato.

    Kubrick prevede un 2001 tecnologico. La conquista spaziale è anche una vittoria politica. La base sulla Luna è internazionale. Russi e americani collaborano e tutto sembra sereno e proiettato verso un nuovo “Illuminismo”. Unico “neo” è che l’uomo deve fare i conti con se stesso e lasciare le macchine pensanti in secondo piano. L’uomo nuovo non ne ha bisogno.  

    A distanza di 23 anni dal 2001, Kubrick dà un messaggio positivo. Usa e Russia vincono la guerra fredda, l’uomo acquista una nuova coscienza e prende forma un contatto extraterrestre super partes. Dietro tutte queste affermazioni e balzi tecnologici, che riscontriamo oggi solo in minima parte, Kubrick ha una sola certezza, l’importanza di controllare le macchine pensanti. L’intelligenza artificiale può essere un pericolo. Ricordiamo come Steven Spielberg recupera un progetto caro a Kubrick, scomparso qualche anno prima, dirigendo il film “A.I. Intelligenza Artificiale” proprio del 2001. Oggi siamo un tutt’uno con le nuove tecnologie. L’intelligenza artificiale è nel DNA delle scoperte scientifiche, ormai quotidiane, spesso sorprendenti e che ci aiutano nei vari reparti dello scibile. Tutto questo può favorire uno sconfinamento che può danneggiare l’uomo perdendo parte di quello che chiamiamo libero arbitrio, i diritti sulla persona e forse mettendo a rischio milioni di posti di lavoro.  Per non parlare di quello che accade nelle guerre con le cosiddette armi intelligenti.

    Il dibattito è aperto, globale e riserva molte sorprese.

    Consiglio il film per diversi motivi. Kubrick è a suo agio e suggerisce un messaggio positivo e molto attuale. Ricordiamo la sua filmografia profonda e ricca di analisi, basta pensare al successivo e controverso “Arancia Meccanica”

    2001: Odissea nello spazio segue il maestro nella cura dei dettagli. Ogni frame è studiato nei particolari. Oltre a Arthur C. Clarke scienziato prestato alla letteratura, Kubrick richiede la collaborazione a ingegneri della NASA, antropologi, maestri degli effetti speciali. Le sequenze spaziali, soprattutto quelle all’interno e all’esterno della Discovery sono molto vicine alla realtà. Ricordiamo che l’uomo raggiunge la Luna diversi anni dopo e che lo Space Shuttle viaggia nello spazio nel 1981. Tutti i monitor all’interno della nave sono piatti, moderni. La computer grafica è animata, le forme, gli arredamenti e i materiali mantengono la loro attualità.

    Invece sono trascorsi sei decadi e l’uomo si ritrova con molti problemi, alcuni hanno un nuovo nome. Forse è il caso di guardare al passato con attenzione e raccogliere i messaggi di chi come Stanley Kubrick, attraverso un film, un libro o un’opera d’arte ha una visione superiore fatta di sapere, cultura, aspetto critico e amore per la vita.

    Alfonso Federici