L’esibizione della tristezza oramai sta diventando il trend più popolare sui social network, soprattutto sulla piattaforma TikTok. Se da un lato lo sfogarsi pubblicamente potrebbe aiutare, dall’altro riempie i creators di like e nuovi followers. La tristezza è diventata il nuovo ‘oro del web’ e c’è chi fa a gara per realizzare il pianto più realistico della rete, oscurando così chi potrebbe avere davvero bisogno di aiuto e supporto. Le emozioni reali tendono a divenire sempre più artificiali e il pericolo di sconfinare nel ridicolo è sempre più facile. Ovviamente, ricordiamo, gli sfoghi reali esistono, ma diventa sempre più difficile riconoscerli.
Nell’ultimo periodo sui social hanno fatto scalpore e suscitato indignazione due avvenimenti in particolare: i casi di Stefania Sacco e Pietro Morello. La prima, si è filmata in preda ad una crisi di pianto: sono stati tanti i commenti di cordoglio e le visualizzazioni in più, di chi come lei, era in ansia per il futuro. Poi però casca l’asino, Stefania risponde ai commenti invitando i suoi followers a visitare il suo profilo IG, dove propone un’idea di business online, invitandoli a fare un piccolo investimento di denaro. Dopo neanche due giorni la stessa ha eliminato video e commenti al riguardo, ma alcuni utenti lo hanno riproposto proprio per denunciarne le presunte ‘false’ intenzioni sopracitate. Sarà stata una svista, un’ingenuità, una mancanza di riflessione? I dubbi sono molti, come però altrettanti i danni che comportamenti del genere potrebbero creare all’interno della società. Ecco l’esempio di un utente che ha contestato Stefania Sacco sull’accaduto:
Pietro Morello invece, pubblica un video in cui racconta di essere stato aggredito e di avere lividi dappertutto. Ad alcuni suoi followers quei lividi sembrano artificiali, il tono della voce per nulla provato. A due settimane dall’aggressione, molti segnalano che in una storia Instagram, Morello sembra apparire senza un graffio e pare che tutto sia tornato alla normalità. Quindi, possiamo davvero fidarci di quello che vediamo sui social? Fino a dove si è disposti a spingersi? Facciamo luce sulla vicenda con la psicoterapeuta Virginia Ciaravolo.
L’INTERVISTA
Dottoressa, sta spopolando sempre di più la tendenza di piangere sui social. Spesso gli utenti, anziché tentare di calmarsi, si filmano mentre hanno un attacco di panico e piangono. Secondo lei quali potrebbero essere i motivi di tale atteggiamento?
Le risposte sono diverse perché bisogna vedere il problema nella complessità e il problema è sicuramente multifattoriale. Da un punto di vista psicologico, l’isolamento digitale richiede da parte di questi ragazzi la ricerca di una connessione emotiva proprio perché sono abituati ad abitare questo mondo, essendo divisi da uno schermo. Quindi condividendolo con gli altri, col mondo virtuale, con tutte le altre persone che popolano il web, sperano poi di trovare comprensione. C’è la necessità anche di parlare di salute mentale e di provare a togliere importanza a quelle che sono le emozioni negative. Poi non possiamo dimenticare l’ “utile” di mettersi a nudo, togliersi i vestiti nel senso di spogliarsi da ogni tipo di emozione, perché sicuramente fa audience.
Sta dilagando sempre più il fenomeno tristezza: è spopolato l’hashtag Mental Health, il trucco per sembrare più belle ma in versione sofferente e la letteratura triste. In particolar modo si sta diffondendo il trend delle ragazze instabili. Secondo lei i giovani pensano che essere belli e tristi possa essere considerato attraente?
Questo è sicuramente un rischio che corriamo e che deriva da certi diktat che sono sui social. Purtroppo questo è un aspetto molto critico ed è per questo che dobbiamo stare molto attenti. Perché se da un lato, il mostrarsi empatici rivelando le proprie fragilità aiuta anche le altre persone a non nasconderle, d’altro canto potremmo ridurre le emozioni a qualcosa di troppo semplice e questo potrebbe portare i ragazzi a non chiedere aiuto. Quindi da un lato c’è il bisogno di vedere delle ragazze instabili, belle ma tristi, come una risposta ad uno standard di perfezione realistica, ma d’altro canto è molto importante far passare anche il messaggio che la tristezza può nascondere delle patologie importanti come la depressione, che vanno portate nei luoghi e nei posti giusti.
Uno dei motivi per cui tali video dilagano è che quei pianti sembrano incredibilmente reali anche quando si appura a posteriori che non lo erano. Come si fa? Bisogna essere bravi attori o cosa?
E’ probabile che quando si prova un momento di sconforto ci sia l’effetto “audience” ovvero di volerlo condividere. Le risposte di comprensione che arrivano, fanno sì che quella persona si senta compreso.
Il problema è quando questi video vengono artefatti, da una musica triste e dai contenuti che tolgono l’autenticità. Quando ci troviamo di fronte a queste situazioni dobbiamo stare un po’ più attenti, soprattutto se poi provengono richieste di promuovere determinati prodotti o creare business di lavoro. All’origine ci potrebbero essere entrambe le cose, si parte con la voglia di condividere un momento triste, ma poi arrivano tantissime visualizzazioni e la persona per stare meglio le utilizza anche per poter promuovere qualcosa di suo.
Potrebbe essere che i giovani siano diventati più freddi e piangono per provare emozioni più intense? Hanno perso la capacità di elaborare le emozioni belle e percepiscono solo quelle negative?
No, non tutti giovani, alcuni giovani. Perché poi in realtà abbiamo tutta una serie di ragazzi e ragazze che promuovono anche messaggi positivi. È chiaro che il pianto crea empatia, crea un substrato di accoglienza da parte di chi vede e chi ascolta e quindi chiaramente tendiamo a promuovere ciò che ha appeal sul pubblico: sono delle vere e proprie strategie di marketing. Però ci sono dei segnali che ci fanno capire se c’è una narrazione completamente artefatta o un messaggio che arriva spontaneo. Per esempio se qualcuno è stato bullizzato lo racconta con enfasi, con naturalezza e con spontaneità rispetto a chi invece lo fa solo per promuovere la propria pagina.
Gli elementi che ci fanno dubitare che i video dei pianti sui social siano reali, sono la musica di sottofondo triste e i sottotitoli dei video. La freddezza nell’editare un video del genere a posteriori può essere considerata “normale”?
Non è normale, però è quello che il mondo social oggi ci dice di essere. Quando si hanno like e milioni di visualizzazioni? Quando un video è montato ed editato in un certo modo, con una colonna sonora che ci fa entrare nella scena. Questo attira verso sé il pubblico e questi elementi diventano importanti.
Ripeto, è possibile che inizialmente vi sia un’autenticità nei fatti che vengono narrati, però poi la risposta del pubblico fa sì che si potrebbe essere attirati da un utile secondario e da un guadagno, ma è abbastanza normale. Chi utilizza i social ha imparato a promuoversi con degli approcci quasi da professionisti.
Crede che la tristezza sia lo specchio del periodo che stiamo vivendo oggi?
Questa è una bella domanda. Sicuramente il mondo che stiamo vivendo gioca un ruolo significativo nella diffusione di sentimenti di tristezza e ansia tra i giovani. Quello che ascoltiamo noi adulti in realtà è lo stesso identico prodotto che ascoltano, assimilano e di cui si nutrono questi ragazzi. Quindi parlare di crisi climatiche, di guerre, di futuri incerti, di instabilità economica, crea un quadro molto preoccupante, che mina poi il benessere di questi ragazzi. Per cui è chiaro che la tristezza non è altro che il riflesso passivo di quello che sta avvenendo nella nostra società. Però la tristezza non è detto che sia un’emozione che dobbiamo leggere, necessariamente in termini negativi, ma può essere una risposta empatica che può creare una sorta di resilienza. Può essere una forma di catalizzazione per cambiare le sorti del nostro paese.
Vivere di più nel mondo digitale ti rende meno partecipativo nella vita reale? Per esempio nella lotta per i propri diritti o semplicemente nel prestare attenzione a un discorso?
Allora, io sono una di quelle professioniste che pensa che la tecnologia sia una grossa opportunità per tutti, giovani ed adulti. E’ chiaro che l’uso distorto che noi facciamo dello strumento tecnologico poi crea lo spartiacque, ma non si può più tornare indietro. Quindi l’unico modo che abbiamo per conoscere bene la tecnologia con le sue opportunità e con i suoi inganni, è quello di conoscerla profondamente. L’uso distorto di questi social può creare anche delle dipendenze, ma il mondo digitale è un mondo arricchente, un mondo al quale i giovani possono attingere e arricchirsi. Ma solo ed unicamente se utilizzato in un modo sano, per portare ad una consapevolezza digitale di stare nel mondo digitale.