Migliaia di canali e account vengono censurati o bloccati ogni giorno. Tuttavia quella di Google ai nostri danni non è un semplice provvedimento nei confronti di un utente giudicato pericoloso. Chi lo dice? La legge italiana.
Andando con ordine: la vicenda culminata con una sentenza di condanna nei confronti del colosso big tech in seguito alla censura di 8 video e alla demonetizzazione del canale YouTube di Radio Radio, è semplice per un verso, ma complessa in un altro. Semplice perché si tratta di un’azione a senso unico verso una testata giornalistica regolarmente registrata in tribunale. Google aveva a disposizione le leggi italiane per sapere che chi stava censurando risponde già ampiamente alle autorità giudiziarie dello Stato. Diverso è il discorso sugli utenti anonimi, e qui veniamo alla parte più contorta.
Se è vero che per esistere big G deve essere totalmente passivo, cioè ospitare persone senza decidere cosa devono dire, è pur vero che soggetti pericolosi per la collettività trovano ospitalità anche – e soprattutto – online. Se Google volesse tutelare davvero le persone da possibili informazioni false, come dovrebbe fare?
La risposta è la medesima: distinguere gli account anonimi, impossibili da collegare a persone reali, dalle testate giornalistiche. E’ questo che incredibilmente il colosso big tech non fa tuttora, nonostante i potenti mezzi finanziari che ha a disposizione. Affidare tutto a un algoritmo per poi dire che in caso di censura si tratta di un errore delle macchine è plausibile, ma anche molto facile. Permette ad esempio all’azienda informatica di adottare l’atteggiamento che preferisce nei confronti di chi contesta o divulga informazioni scomode. Eppure le armi per distinguere i potenziali account devianti da quelli legittimati dalla legge a divulgare contenuti, sono sul tavolo dal 1948.
“Non solo: i video cancellati dalla piattaforma sono 8 su migliaia già pubblicati. E’ un contraddizione palese demonetizzare l’intero canale avendo cancellato 8 video. E’ chiaramente una punizione esagerata“.
Ascoltate la spiegazione dell’avvocato Lorenzo Minisci, che ha difeso Radio Radio in tribunale contro Google.