Marco Ballotta ricorda Sven-Göran Eriksson ▷ “Era fuori dai canoni. E alla fine aveva ragione lui”

Se n’è andato Sven-Göran Eriksson.
Ha lasciato il mondo dopo una lunga malattia: il cancro al pancreas gli era stato diagnosticato nel 2023.
Quel cancro incurabile che oggi lo ha portato via a 76 anni, a casa sua, in Svezia, circondato dalla famiglia.
Quella sua eleganza nella vita l’aveva portata anche nel calcio, dove la sua traccia passò per prima alla Roma, poi alla Fiorentina, dopo alla Sampdoria, e per ultima, la più vittoriosa nella sua carriera, la Lazio. Nella Capitale, Eriksson diede il suo contributo più importante, costruendo la Lazio della stagione ’99-2000: quella del secondo scudetto, della Coppa Italia e della Supercoppa UEFA. Aveva detto Sir Alex Ferguson di quella sconfitta in Supercoppa col suo leggendario United che la Lazio “in quel momento era la migliore squadra al mondo. Ed è forse questo il ricordo più amaro“.

L’allenatore svedese aveva preso con eleganza tutto, anche la sua malattia. Emblematico in questo senso il messaggio, l’ultimo, lasciato nel recente documentario prodotto da Amazon Prime.
“Ho avuto una bella vita, sì. Penso che tutti noi abbiamo paura del giorno in cui moriremo. Ma la vita riguarda anche la morte. Spero che alla fine la gente dirà, sì, era un brav’uomo, ma non tutti lo diranno. Spero che mi ricorderete come un ragazzo positivo che cercava di fare tutto il possibile. Non dispiacetevi, sorridete. Grazie di tutto, allenatori, giocatori, il pubblico, è stato fantastico. Prendetevi cura di voi stessi e prendetevi cura della vostra vita. E vivetela. Ciao”
A Radio Radio Lo Sport, il ricordo dell’uomo tra i pali di quella Lazio campione d’Italia, Marco Ballotta.

“Chi era Sven? Un allenatore un po’ fuori dai canoni. Per far vedere il polso dell’allenatore urlava, inveiva contro qualche giocatore per farsi sentire. Ma Sven difficilmente lo vedevi arrabbiato. Quando si arrabbiava diventava rosso. L’ho visto parlare animatamente, non litigare, con qualche giocatore, quelli che non giocavano. Eravamo veramente forti, ma qualcuno doveva stare fuori. E chi stava fuori non era sicuramente contento. A quattr’occhi Sven interveniva con il giocatore arrabbiato e gli diceva che aveva ragione, che prima o poi sarebbe arrivato il suo momento. E diventava rosso. Non lo sentivi mai alzare la voce, e questo non significa che fosse un debole, anzi. Era molto intelligente, capiva e sapeva come prendere ognuno di noi. E alla fine aveva ragione lui: è importante che un allenatore riesca ad avere i giocatori tutti dalla propria parte. C’era un aiuto reciproco, perché lui se lo meritava”.

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