Al di là delle disastrose notizie che riportano i quotidiani e i mezzi di informazione tradizionali, fatti di crolli delle borse, fatti di incremento dello spread e di aumento dell’inflazione, è bene porre l’attenzione su alcuni indicatori di rilevanza fondamentali, perché sono l’effettivo termometro dello stato di salute di un paese e dei suoi cittadini.
Nel caso specifico parliamo del potere di acquisto e del tasso di risparmio. Ricordo come negli anni 90 le famiglie italiane avevano dei tassi di risparmio superiori al 20% e se andiamo indietro di 10 anni, all’inizio degli anni 80, fino all’80, 81, 82, prima del divorzio del Ministero del Tesoro dalla Banca d’Italia che avvenne nel febbraio dell’81, i tassi di risparmio delle famiglie italiane erano arrivati a sfiorare il 25%.
Oggi invece i tassi di risparmio delle famiglie italiane sono praticamente inesistenti, ridottissimi, percentuali da prefisso telefonico.
E ancora, soprattutto, sono milioni le famiglie italiane a rischio di povertà assoluta. Questi sono dati inconfutabili. I dati degli ultimi mesi sembrano portare dei segnali di una lieve ripresa.
In uno scenario di incertezza geopolitica e di stress economico, in Italia si è assistito ad una lieve ripresa della propensione al risparmio, a un lieve incremento del potere d’acquisto. I rinnovi contrattuali, unitamente alla disinflazione, hanno portato a una lieve crescita del reddito disponibile e del potere di acquisto.
Questo ovviamente ha come effetto negativo una riduzione dei margini di profitto delle imprese e secondo altri i segnali positivi arriverebbero anche da un incremento delle ore lavorate delle persone occupate.
Insomma non è stato sufficiente ridimensionare la follia del reddito di cittadinanza e a sostenere la ricerca del lavoro e a ridurre il numero delle persone inattive. L’insieme di questi segnali molto deboli confermano la necessità di investire sull’economia reale, tralasciando di continuare a parlare di Bruxelles, dell’economia finanziaria, della finanza, della BCE, delle borse, dei mercati. Io vi parlo da anni di economia umanistica, che alla fine vuol dire una cosa molto semplice: “Mettere l’uomo al posto dei mercati”.
Mettere l’uomo al centro dell’economia e l’interesse dell’uomo. Io dico uomo, non uso nemmeno il termine cittadino, mi sembra ovvio. L’uomo al centro dell’economia.
Questo è il punto fondamentale. Perché il fallimento delle scelte degli ultimi 40 anni sono sotto gli occhi di tutti. Siamo più poveri.
E c’è poco da discutere su questo. Quindi bisogna cambiare strada e smetterla di parlare con lo stesso linguaggio. Buona economia umanistica.
Malvezzi Quotidiani – L’Economia Umanistica Spiegata Bene con Valerio Malvezzi