Una birreria sceglie di assumere solo migranti, a beneficio del profitto e contro gli interessi dei lavoratori

Una birreria ha recentemente scelto di assumere solo migranti a lavorare nel proprio locale. Ne trovate informazione precisa su La Stampa, quotidiano Sabaudo par excellence. Niente italiani dunque, esclusi a priori.

Soltanto i migranti sono assunti. Sembrerebbe a tutti gli effetti un rovesciamento dialettico degno della fenomenologia dello spirito di Hegel. Il fanatismo arcobaleno dell’inclusività a tutti i costi si rovescia nella discriminazione più radicale.

Proprio come, nella fenomenologia di Hegel, la virtù illuministica si capovolge nel terrore giacobino, per cui, scrive Hegel “tagliare una testa d’uomo o una testa di cavolo diventa la stessa cosa”. Vero è che, secondo quanto leggiamo su La Stampa di Torino, le ragioni che hanno indotto i proprietari a questa scelta sembrano essere di ordine meramente economico e non già di tipo ideologico. I proprietari hanno spiegato la loro scelta asserendo che gli italiani abbandonano il posto di lavoro dopo due mesi circa, mentre i migranti assunti lavorano allegramente senza abbandonare.

La contrapposizione, dunque, sarebbe stando ai proprietari, tra gli italiani pelandroni e i migranti lavoratori zelanti. Può essere, certo, ma sarebbe anche interessante, dopotutto, vedere il contratto proposto dalla birreria. Dunque ragionare in maniera più approfondita sulla questione economica e salariale.

In generale, e senza necessari riferimenti alla birreria in questione, come abbiamo mostrato nel nostro libro Storia e coscienza del precariato, i migranti rappresentano oggi per il capitale un esercito industriale di riserva, la definizione di Carlo Marx, che permette di avere braccia a costi più bassi e di abbassare in generale i costi della forza lavoro. Molto banalmente, se tu, lavoratore italiano, eri avvezzo a lavorare a 10 euro all’ora, per via di una storia precisa, di una stagione di lotte di classe e di conquiste welfaristiche salariali, ecco che ora ti trovi costretto a competere con chi, giunto dall’altra parte del mondo, in Italia, senza avere contezza di diritti e di lotta di classe, è disposto a fare il medesimo a 3 euro all’ora. E come è noto, la moneta cattiva caccia quella buona.

Fuor di metafora, non saranno i tuoi diritti a estendersi anche al nuovo lavoratore, ma viceversa sarai tu a doverti privare dei tuoi diritti per poter essere competitivo con chi, senza diritti, lavora a prezzi irrisori. Ciò mi permette di asserire che, contrariamente a quel che si è soliti affermare, non è affatto vero, a mio giudizio, che gli italiani non hanno voglia di lavorare. Gli italiani non vogliono salari troppo bassi, non vogliono perdere i loro diritti e le loro conquiste salariali.

La forza lavoro migrante, molto spesso, proviene da aree del pianeta in cui non vi sono diritti e in cui non vi è coscienza di classe, figurando perciò stesso come la classe lavoratrice ideale per Monsieur le capital. Per non parlare poi del fatto, anch’esso non trascurabile, che per un migrante avere un contratto di lavoro, quale che si via, è questione vitale, da che gli permette di avere perciò stesso il permesso di soggiorno. Come sempre voglio fugare ogni dubbio sul tema.

Il nemico non è il migrante, ma il capitale che usa i migranti pro domo sua, cioè per massimizzare il profitto e per abbassare i costi della forza lavoro, o, detto altrimenti, per condurre la propria spietata lotta di classe dall’alto contro il basso, a beneficio unicamente del profitto e contro gli interessi dei lavoratori, migranti o italiani che siano.

Radioattività – Lampi del Pensiero Quotidiano con Diego Fusaro