È recentemente terminata, in maniera non propriamente entusiasmante, la vicenda di Gennaro Sangiuliano, esponente della destra bluette neoliberale atlantista, nonché ministro della cultura. Dopo varie peripezie mediatiche che l’hanno portato financo a scusarsi tra le lacrime in riferimento alla propria moglie, a Giorgia Meloni, Sangiuliano ha mollato l’osso e ha rassegnato le proprie dimissioni indiscutibili. A succedere a Sangiuliano è stato nei giorni scorsi Alessandro Giuli, che diventa ora Ministro della Cultura.
Alessandro Giuli è stato nominato da pochi giorni ed è subito partita, immarcescibile come sempre, la macchina del fango, quella che cerca di scavare nel passato, in questo caso di Alessandro Giuli, per infangarlo e per delegittimarlo ancor prima che egli sia passato all’azione. Si è detto che Alessandro Giuli non è laureato, benché abbia compiuto il suo ciclo di studi in filosofia, non ha discusso poi la tesi di laurea, così è stato detto. Ma soprattutto si è andato a ripescare il suo passato nelle fila della destra nera, in particolare in relazione alla sua presenza stabile in un movimento dell’estrema destra post fascista.
E dunque è partita subito, come dicevo, la macchina del fango che ha come unico obiettivo delegittimare Alessandro Giuli ancora prima che gli inizi della sua nuova attività di Ministro della Cultura. Ci si è consentito allora svolgere qualche considerazione su questo tema. Quale che sia il governo in carica, di destra o di sinistra, si ripete sempre puntualmente il medesimo schema.
Si va a rovistare nel passato di ogni ministro per vedere se in gioventù fece parte di gruppi dell’estrema sinistra comunista o dell’estrema destra fascista e per poi attaccarlo per il proprio passato sconveniente. In verità quello che stupisce è constatare che i personaggi che divengono ministri, avendo avuto un passato nell’estrema destra fascista o nell’estrema sinistra comunista, sono poi disinvoltamente transitati, quasi tutti senza eccezione, all’estremo centro liberale atlantista, quasi come se la conversione al liberale atlantismo fosse conditio sine qua non per poter accedere alla stanza dei bottoni, avendo poi comunque sempre la spada di Damocle che pende sulla propria testa per il passato disallineato rispetto al dogma dominante dell’estremo centro neoliberale.
Anche da ciò allora emerge limpidamente l’essenza dell’odierno non-democratico ordine della civiltà dei mercati. Come ho provato a dimostrare nel mio studio Demofobia, l’ordine neoliberale risulta fondato in astratto sul pluralismo partitico e in concreto sulla grossa coalizione neoliberale e sul partito unico del capitale. Insomma, si potrà essere liberamente di destra, di centro e di sinistra, ma non si potrà mai essere, e neppure essere stati, di partiti non-liberali, di destra o di sinistra a poco conto.
Detto altrimenti, l’ordine dei mercati che si presenta come libero e democratico è in realtà, per sua essenza, un totalitarismo glamour fintamente libero e fintamente democratico. Lascia certamente esistere la pluralità dei partiti e però sono tutti partiti dell’estremo centro neoliberale, sia pure di centrodestra o di centrosinistra. Si diceva che il totalitarismo novecentesco imponeva il partito unico e poneva fuori legge tutti gli altri partiti.
Ebbene il totalitarismo glamour della civiltà dei consumi ammette la pluralità dei partiti e però devono essere tutti partiti intesi e praticati come articolazioni del partito unico del capitale e hanno pure il coraggio di chiamarla democrazia.
RadioAttività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro