Continua senza tregua l’opera inesausta di Bergoglio, sotto il segno della decostruzione programmatica e scientifica del cristianesimo e dei suoi fondamenti. L’ultima sortita di Bergoglio può davvero leggersi all’insegna del relativismo postmoderno che Ratzinger aveva provato a contrastare e che invece il nuovo esponente della neochiesa post-cristiana, liquida e smart, promuove quotidianamente.
Bergoglio ha asserito testualmente che, sono parole sue, tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Per chiarirlo, Bergoglio ha impiegato un esempio di matrice linguistica. Le differenti religioni sono come le diverse lingue, che possono essere utilizzate ugualmente per nominare le cose.
Si tratta di una considerazione che stona soprattutto se riferita a colui il quale dovrebbe, idealmente, essere il successore di Pietro, il massimo punto di riferimento del mondo cattolico. Sostenere che tutte le religioni sono una via che porta, in un modo o nell’altro, alla verità assoluta, teologicamente chiamata Dio, può essere una tesi perfettamente di buonsenso, se considerata sul piano filosofico, ma risulta decisamente stonata, come dicevo, se a pronunziarla è colui il quale dovrebbe rappresentare al grado massimo la religione cattolica.
Bisognerebbe chiedere a Bergoglio perché, se tutte le religioni portano ugualmente a Dio, egli scelga di rimanere nell’ambito di quella cattolica e non, supponiamo, di quella buddista o di quella induista. Nelle sue lezioni sulla filosofia della religione, Hegel intendeva le diverse religioni che si sono succedute sulla scena del mondo come altrettante tappe che conducono evolutivamente al raggiungimento dell’assoluto, e intendeva però il cristianesimo come religione assoluta, vale a dire come figura più alta della rappresentazione religiosa. Con Bergoglio invece si regredisce nel pantano di un relativismo dell’indistinzione.
Un relativismo dell’indistinzione tale per cui nel cristianesimo non vi sarebbe più verità che nell’induismo, nel buddismo o nell’islam. E non è certo la prima volta che Bergoglio celebra a pie’ sospinto il relativismo culturale e religioso. Basti ricordare il surreale culto del Pachamama di qualche anno fa, dove paganesimo e idolatria si intersecavano senza soluzione di continuità.
La dittatura del relativismo non viene contrastata da Bergoglio, ma viene anzi da lui propiziata e apertamente rivendicata. E come sappiamo, detta dittatura del relativismo, coincide perfettamente con la sovrastruttura ideologica del tardo capitalismo postmoderno e flessibile, nei cui spazi reificati tutto deve diventare relativo alla forma merce e al suo illimitato scorrimento onnidirezionale sul piano liscio del mondo e delle coscienze svuotate. Il cristianesimo stesso, con Bergoglio, diventa un punto di vista fra i tanti, quasi in una sorta di protagonismo teologico che non fa altro che rinsaldare il processo di evaporazione del cristianesimo funzionale al dominio assoluto della forma merce.
Come non mi stanco di ribadire, se Ratzinger provò eroicamente a resistere all’evaporazione del cristianesimo, rimettendo al centro la tradizione filosofica e teologica, Bergoglio per parte sua non fa altro che propiziare i processi di evaporazione del cristianesimo, proponendo una religione del nulla, una teologia nichilista, tale per cui non esiste nemmeno più la verità, se ogni punto di vista può intendersi, come Bergoglio stesso ha detto, come una via che porta alla verità. Ecco allora che per la prima volta la distruzione del cristianesimo non avviene solo da parte del mundus, ma dall’interno stesso della chiesa, o meglio, della neochiesa liquida, postmoderna e smart.
Radioattività – Lampi del Pensiero Quotidiano con Diego Fusaro