E’ noto anche agli studenti di comunicazione a inizio corso: cambiare le parole vuol dire cambiare i pensieri. Il cambiamento di significato di una parola è definito tecnicamente risemantizzazione funzionale, ed avviene in seguito a eventi traumatici per la società – come una pandemia – oppure scientemente per un cambiamento narrativo da parte dei media che raggiungono più persone: in quel caso, occorre perseverare nell’assegnare la nuova sfumatura di significato.
Negli ultimi anni sta accadendo sovente in ambito medico ad esempio: parliamo della situazione in cui la definizione che ancora è presente nei vocabolari non coincide con il senso generalmente attribuito alla parola “vaccinazione” ad esempio. Ancora, abbiamo il termine “immunizzazione”, la cui discrepanza tra la definizione e il senso comune di intendere “immunizzarsi” è evidente, visto che abbiamo ormai abitualmente a che fare con farmaci che non immunizzano.
Basta andare a ripescare vecchi articoli precedenti il 2020 per capire che in pochi anni il significato generalmente attribuito alla parola “immunizzazione” è cambiato.
Non è allo stesso tempo una tecnica che rappresenta una novità nel campo della comunicazione, quella di cambiare senso alle parole per avere in cambio qualcosa. Per essere ancor più concreti, basta andare a vedere cosa sta accadendo con il codice deontologico dei medici: qualcuno vuole cambiarlo, inserendo la direttiva che impedisce la critica ai “vaccini”. Ma ormai si intende per “vaccino” molte cose, tra cui farmaci che non immunizzano e forse a breve anche tecnologie di nuova generazione per prevenire il cancro. La vaccinologia si confonde sempre più con l’immunologia, e questo ha dei riscontri estremamente pratici. “Cambiare le parole vuol dire cambiare pensieri e fatti”.
Ascoltate la riflessione di Diego Fusaro a ‘Un Giorno Speciale’ | 10 settembre 2024
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