Il rischio licenziamenti è alle stelle: tutta la verità dietro i dati preoccupanti

Se non si interviene a favore delle imprese, rischiamo di assistere a licenziamenti. Qualcuno sostiene che si tratti di catastrofismo, di previsioni negative, eccetera. Ma vediamo un po’ quali sono i dati. Partiamo da quella che sembra una notizia positiva, ossia l’aumento dell’occupazione a luglio. Questo potrebbe sembrare un buon segnale, frutto di politiche diverse da quelle assistenziali, che non hanno prodotto risultati. Tuttavia, se analizziamo i dati più a fondo, ci accorgiamo che i lavoratori dipendenti sono diminuiti rispetto a giugno 2024, mentre sono aumentati, in modo sproporzionato, i lavoratori autonomi. I dati vanno interpretati correttamente.

L’occupazione aumenta? Vediamo cosa dicono i numeri. Gli autonomi crescono, il che significa che si tratta di persone che si creano il lavoro da sé, mentre diminuiscono i lavoratori dipendenti. Analizzando ancora meglio i dati, notiamo che la diminuzione dei dipendenti riguarda sia i contratti a tempo indeterminato sia quelli a termine. Ma allora, dov’è questo aumento di occupazione? Inoltre, guardiamo altri dati all’interno del quadro generale: il numero degli inattivi, cioè delle persone che in Italia non fanno nulla, non studiano, non lavorano e non cercano più lavoro perché scoraggiate, è in crescita. Il tasso di inattività è salito al 33,3%, il che significa che esattamente un italiano su tre è inattivo, ovvero così scoraggiato da non studiare, non lavorare e nemmeno cercare lavoro. Questo presunto aumento dell’occupazione, sbandierato da qualcuno come un grande successo del governo, va correlato alla diminuzione delle persone in cerca di lavoro, pari al -4,5%, il che indica che ci sono meno persone che cercano lavoro e più inattivi.

Quindi, i dati vanno interpretati e studiati con attenzione: meno persone cercano lavoro e più persone smettono di cercarlo. Questo è un segnale delle difficoltà delle imprese nel mantenere i posti di lavoro, difficoltà che deriva da politiche insensate come il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo può avere senso come misura temporanea, ma non può essere pensato come una soluzione strutturale per dieci anni, perché crea una cultura del non lavoro. Un aspetto poco noto è che, lavorando quotidianamente con imprenditori per sviluppare i loro piani strategici, molti di loro lamentano la difficoltà di trovare persone disposte a lavorare in diversi settori: industria, commercio, turismo, servizi. Dunque, c’è qualcosa che non torna in questo racconto.

Malvezzi Quotidiani – L’economia umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi