Cari giornali, vivere in macchina non è una bella favola da raccontare, ma il simbolo del tracollo

Sta riscontrando una certa diffusione in questi giorni un articolo che si trova su diverse testate e che parla di un giovane precario costretto ad abitare nella propria auto. In sostanza il giovane ha perso letteralmente tutto e ora non può che vivere a bordo del proprio veicolo, che dunque è diventato anche la sua abitazione. Così leggiamo, ad esempio, sul Corriere del Veneto.

I professionisti dell’informazione tengono a far sapere che questa vicenda diventerà anche un film documentario. In questa storia ciò che più stupisce non è tanto la sorte del giovane malcapitato, una delle tante vittime della precarizzazione neoliberista e delle asimmetrie dominanti nel quadro del turbocapitalismo globalizzato. A colpire è invece lo stile narrativo adottato dagli araldi del consenso e dal clero giornalistico regolare.

Non una sola parola di condanna della condizione del mondo del lavoro, ogni giorno più disumana e più spietata. Non una sola considerazione su come la classe lavoratrice, complessivamente intesa, abbia continuamente perso diritti e dignità dagli anni 90 ad oggi, secondo un piano inclinato che è quello che segna la vittoria del capitale e la sconfitta del mondo del lavoro. Ancora, non un solo commento sul rapporto indecente tra capitale e lavoro nel quadro della globalizzazione neoliberale egemonica.

No, nulla di tutto questo. Lo stile narrativo degli autoproclamati professionisti dell’informazione procede in direzione contraria, e quasi prova a celebrare, a encomiare e a santificare questa situazione. Suggeriscono i professionisti dell’informazione che questo in fondo potrebbe essere una buona opportunità per tutti, uno stile di vita cool, eccitante, e fuori dai monotoni schemi della tradizione di chi è solito abitare sotto un tetto, con un lavoro stabile, con una vita affettiva e magari anche con una famiglia.

Non possono allora non venire alla mente le programmatiche parole del forum di Davos, consesso della classe cosmopolitica dominante. 2030, non avrai più niente e sarai felice. Si tratta del ben noto programma del blocco oligarchico neoliberale per il popolo degli abissi, programma che gli araldi del consenso si peritano di celebrare come entusiasmante ed eccitante, degno di essere seguito da tutti, all’insegna di un nuovo e meraviglioso stile di vita all’altezza dell’ordine capitalistico sans frontières.

Si tratta oltretutto di un’ammirabile esemplificazione del modus operandi dell’ideologia, la quale in fondo ha un unico obiettivo, fare sì che i prigionieri della caverna, per dirla platonicamente, anziché ad operarsi per evadere, amino le proprie catene con stolta letizia, e magari siano anche pronti a battersi contro chiunque voglia spezzarle promuovendo la loro liberazione. Questa in effetti è una storia che davvero esemplifica perfettamente la condizione contemporanea. Da un lato un potere oppressivo che si fa ogni giorno più disumano, del tutto simile al tallone di ferro di cui scriveva Jack London, che opprime, calpesta e umilia il popolo degli abissi, portando via loro dignità, portando via al popolo degli abissi diritti, portando via tutto letteralmente. E dall’altra abbiamo le masse precarizzate che anziché insorgere contro questa condizione nefasta, l’accettano e magari anche la esibiscono con giubilo sui social dicendosi anche disposti a girare dei film.

RadioAttività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro