Un’eco geopolitica, al più drammatico dei livelli d’intensità, si è avvertita nelle strade di Udine e ha inciso sull’erba del “Bluenergy Stadium” i segni inevitabili del suo passaggio, molto prima dei tacchetti di due nazionali che si sono sforzate di isolarsi come se una delle due non rappresentasse in questo momento lo Stato e il governo più criticati – eufemismo – al mondo.
I fischi all’inno nazionale della selezione ospite, deprecabili in assoluto, hanno rappresentato stavolta un volano di dissenso e una presa di posizione riconoscibile, come una sonora prosecuzione del corteo pro Palestina che aveva attraversato il centro cittadino.
Un’Italia sorniona e compassata, a tratti al minimo sindacale dei giri, basta per vincere la partita contro Gloukh e compagni, ma non a dominarla, perché gli Azzurri, pur dopo essere approdati al doppio vantaggio, non hanno saputo mettere in ghiaccio la partita, come si dice in gergo, fino al giro di boa del minuto 73, quando a Dimarco basta un’alzata di sopracciglio per metterla in mezzo da sinistra e un giro di caviglia, in anticipo sul marcatore, è l’apostrofo azzurro di Frattesi, fra il tre e l’uno del momentaneo risultato. Combinazione collaudata col minimo comune denominatore del nerazzurro di fondo.
C’è spazio per le doppietta di Di Lorenzo, vale a dire il più criticato dello scorso Europeo, assieme al debutto di Daniel Maldini.
Risultato che alla fine premia la Nazionale di uno Spalletti assorto, un po’ oltre i meriti di Tonali (sempre più nevralgico) e compagni. Si cresce anche così, in autostima.
Paolo Marcacci