Il risultato a un certo punto diventa un dettaglio, quando i contenuti sono così densi e da un certo momento in poi sorprendenti, visto che una Lazio in inferiorità numerica da metà primo tempo si riassesta con una specie di reticolato di centrocampo davanti alla difesa e costringe una Juventus abbastanza inedita a diventare via via più prevedibile con il trascorrere dei minuti. Il dato episodico del rigore fallito da Vlahović pesa sul tabellino ma non è la prima delle recriminazioni per i supporters bianconeri, perché ci sarebbe stato tutto il tempo per cercare il vantaggio. Il fatto è che i bianconeri, nonostante un fraseggio ampio e avvolgente e un palleggio reiterato, non riescono mai a trovare un reale cambio di passo e, di conseguenza, l’episodio che potrebbe risultare decisivo lo lasciano nella teca dei condizionali.
Una Lazio alla fine comprensibilmente esausta, non solo per l’inferiorità numerica ma anche per gli avvicendamenti a un certo punto obbligati – o per infortunio come Tavares o perché si erano accese varie lucine indicanti il serbatoio della riserva -, non riesce a far valere la propria soglia di sacrificio nei confronti di una Juventus per metà sperimentale perché arriva il più fortuito degli episodi a forzare il valore dei contenuti: il cross di Cabal da sinistra trova la deviazione crudele di Gila, che sporca la traiettoria quel tanto che basta per svegliare un Allianz che aveva cominciato a mugugnare, con ragione.
Vince la Juventus per un autogol, tra l’altro particolarmente rocambolesco, ma paradossalmente i dubbi maggiori dopo la partita sono quelli ingenerati dalla Juve stessa, da una certa macchinosità che potrebbe non dipendere soltanto dalle scelte obbligate di Motta.
Paolo Marcacci