L’ultima ricerca monitor sul lavoro di Federmeccanica evidenzia quella che tecnicamente viene chiamata “dissonanza cognitiva”.
Dissonanza cognitiva di che cosa? Degli italiani nei confronti dell’industria italiana. Sebbene il settore sia percepito ancora come centrale per lo sviluppo economico, nell’immaginario collettivo, del tutto marginale. Pensate che soltanto il 12% degli italiani riconosce all’Italia un ruolo industriale di rilievo, contro il 66% attribuito alla Germania.
Inoltre, l’industria è superata dal turismo, 27%, e dal commercio, 15%, come un motore dello sviluppo passato e futuro. Insomma, l’industria italiana è vista ancora attraverso stereotipi del 1900, associata al lavoro alienante, associata al fordismo, mentre mancano la consapevolezza e la narrazione sulle trasformazioni attuate. Insomma, nonostante delle iniziative benefiche e il volontariato locale, soltanto il 35% degli italiani le riconosce un ruolo: segnale di distacco tra l’industria e la comunità italiana.
Inoltre, meno del 34% rileva delle collaborazioni con il territorio. Insomma, il sondaggio evidenzia che, per attrarre giovani generazioni e talenti, l’industria deve migliorare la propria narrazione, comunicando meglio le innovazioni e il proprio contributo al progresso.
La reputazione, oggi più che mai, è una leva essenziale per rimanere competitivi, soprattutto in un contesto sociale che privilegia sempre più le dimensioni immateriali del lavoro e la sostenibilità.
Insomma, gli italiani stanno sottovalutando – dati de Il Sole 24 ore alla mano – il peso dell’industria nazionale, collocando l’Italia al quarto posto tra le potenze industriali mentre sovrastimano il contributo del turismo rispetto all’industria nello sviluppo economico. Un riflesso di decenni di politiche miopi e di un’informazione scadente. E a questo punto osservo che il vero problema non è il fatto che l’industria non sappia comunicare sé stessa, ma il fatto che la politica è stata bravissima a comunicare che dobbiamo distruggere il nostro paese.
Noi eravamo un paese agricolo prima, poi industriale, oggi ci stiamo trasformando in un paese di servizi. E un paese di servizi non può reggere, non può stare sul mercato. Perché? Perché manca l’industria.
Per mia fortuna io lavoro con tanti imprenditori industriali, e con loro costruiamo piani strategici. Perché? Perché in assenza di un piano strategico dello Stato italiano, del quale prima o poi scriverò un libro.
Quello che a me piace è scrivere i piani strategici delle aziende italiane, che invece, quando lo fanno, vanno bene.
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