Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali statunitensi del 2024, superando la vicepresidente Kamala Harris in un’elezione caratterizzata da forti divisioni. La sua campagna, sostenuta da figure di spicco come Elon Musk e diversi influenti del mondo digitale, ha puntato su un’agenda conservatrice che includeva una linea dura sull’immigrazione, la revisione di normative ambientali, e l’aumento dei dazi sulle importazioni per proteggere l’industria americana.
Determinanti per la vittoria sono stati gli stati chiave come la Pennsylvania e la Georgia, che Trump è riuscito a strappare a Harris grazie al supporto di elettori delle aree deindustrializzate e rurali. Questo successo è accompagnato dalla riconquista del Senato da parte dei Repubblicani, il che potrebbe dare maggiore forza legislativa a Trump nel suo secondo mandato.
Si è discusso e si continuerà a discutere di queste elezioni, in particolar modo dell’atteggiamento polarizzante dei media che le hanno raccontate. Marcello Foa ha evidenziato ai microfoni di Un Giorno Speciale come la narrazione attorno a Usa 2024 abbia assunto sembianze di tifo e non di giornalismo super partes: “I media oggi non svolgono più il proprio ruolo di cani da guardia della democrazia, sono diventati uno strumento politico. La maggior parte dei media è legato all’establishment, per cui quando c’è un risultato non gradito si sollevano. I media non rappresentano più il popolo, io da tempo auspico una riflessione sincera sul ruolo dei giornalisti che non arriva mai.
C’è il cosiddetto fenomeno del conformismo politico, culturale, di ambiente, secondo cui l’individuo si uniforma al sentire del tuo gruppo di appartenenza perché se non ti uniformi vieni emarginato. Quello che mi ha realmente colpito è che la stampa ha vissuto queste elezioni come una partita di calcio, io sono stufo di questo tipo di giornalismo. Io posso avere una mia identità politica, ma è doveroso cercare di fare un’informazione equilibrata. Abbiamo dimenticato i fondamentali di questa professione“.
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